DRAK'KAST
Storie di draghi
Autore: Fabrizio Corselli
Editore: Edizioni della Sera
Pagine: 220
Prezzo: 12,00
Elkodyas, ultimo della stirpe dei naùstarak, i draghi metamorfosati, riveste il ruolo di uno fra i più talentuosi hadragnir di tutta la regione di Andrara: incantatori disposti a sposare la causa delle creature draconiche per preservare l’equilibrio tra le razze. Nelle desolata terra dell'Enjarst i draghi più feroci tuttora conducono la loro vita indisturbata, altresì elevando quelle lande a mirabile terreno di caccia. Al di là di esse si è spinto il bardo con grande audacia e determinazione, fino a lambire i confini di Antalorian, dimora dei draghi della terra. Un paradiso arboreo d’indicibile bellezza, all’apparenza, ma un mondo selvaggio invero, cruento e misterioso, che aspetta solo di essere rivelato a uno sguardo più attento e rispettoso delle sue leggi. Qui egli ha affrontato non solo la minaccia dei suoi stessi fratelli, ma anche le ataviche forze oscure che abitano la foresta, armato del proprio magico strumento e del suo inseparabile famiglio Tyrintalle. Le gesta di Elkodyas rivivono adesso nel canto epico che Naskara, una cacciatrice di draghi, ha ridestato dalle memorie del tempo, grazie all’eredità della propria razza d’appartenenza: le ninfe guerriere. Fedeli guardiane dei draghi della terra e custodi del loro antichissimo culto.
Fabrizio Corselli è unico nel suo genre, ha cercato di dar spazio al genere più seguito negli ultimi anni, che è il fantasy,non tralasciando però la magica e illuminante funzione della parola, l'importanza della poesia che ormai si sta purtroppo perdendo. Poesia e fantasy si trovano così accorpate in un mix che sarebbe stato rischioso forse, ma che lui ha risolto in maniera eccellente. Forse non è un libro adatto a tutti, ma a me è piaciuto, forse perchè ho sempre amato l'epica e la metrica antica, il cui suono ipnotico ha quasi saputo riprodurre.
Sono nato a Palermo, ho 38 anni, e adesso vivo a Settimo Milanese. Qui, lavoro come educatore e porto avanti una serie di progetti per la Scuola. Sono molto soddisfatto di ciò perché riesco a conciliare così lavoro e passioni personali. Sono uno scrittore di poesia a carattere epico-mitologico e un saggista. Scrivo dal 2001 e non riesco più a fermarmi; la scrittura crea dipendenza, e nuoce gravemente alla salute. Per il resto, sono redattore presso la rivista nazionale (cartacea) In Arte – Multiversi dove conduco la rubrica Trame (Poesia ed Estetica). Ho avuto diverse collaborazioni importanti con il Salone Internazionale di Parigi e il Museo Belejevo di Mosca, oltre ad aver collaborato con Mediabrera di Milano. Sono un amante della poesia giapponese, e un nerd non pentito di giochi di ruolo dal 1986. Altra passione: unire la dimensione del gdr con quella della scrittura.
Hai già scritto qualcos'altro? Vuoi parlarne?
Ho pubblicato nel 2001 “I Giardini di Orfeo”: una raccolta di poesie sui miti greci. Diciamo un’opera che appartiene al mio periodo di acerbo poeta, in cui rivisito i diversi paradigmi mitici con un tocco molto più lirico, e una visione più umana. Diversi sono stati poi gli scritti, in ogni modo sempre strutturati in opere tematiche, spaziando dalla Saggistica (per esempio “Hysteron”) all’eros ninfale (“Amor di Ninfa”), senza tralasciare la silloge tematica sulle Ninfee (“Ninfee”), e non per ultimo la favola poetica “Shams Al Nahar e le dieci perle d’Oriente”.
Qualcuno ti ha definito "nuovo cantore, aedo". Che ne pensi?
Hai dimenticato il più importante, “Cantore di Draghi”. Tutto molto lusinghiero, se non pittoresco, ma credo che si sposi bene con la finalità del testo e con il mio stile altamente musicale. Soprattutto per l’uso del poema e per la ripresa della tradizione epica. Nella mia poesia, e nello specifico nei miei poemi, c’è la riscoperta e la valorizzazione della componente musicale, elemento che si è perso col tempo, anche a causa della banalizzazione sempre più imperante del cosiddetto linguaggio parlato, oramai innalzato a unica e sola forma di comunicazione poetica. La poesia usa il linguaggio poetico e presuppone studio. Si diffidi di chi, per propria irresponsabilità o per avvalorare le proprie preghierine della sera o ancora mere tautologie, tende a liquidare rapidamente la questione sulla tecnica. C’è chi ci riesce inconsapevolmente, a livello istintivo, ma perché poi precludersi una tavolozza da milioni di colori? È come un pittore che dipinge sempre con tre colori senza usare le sfumature e le diverse gradazioni. Anche lo stesso fantasy nasce dal mito e proviene dalla tradizione dell’epica classica, soprattutto guardando a quella germanica. Pertanto non vedo così inusuale e assurdo che io abbia usato il verso per scrivere fantasy.
Mitologia e mondo classico: quanto influenti e importanti?
Cercherò di essere molto sintetico. La mitologia e il mondo classico sono, secondo me, imprescindibili da qualsiasi forma di cultura e genere. Il mito nacque inizialmente come forma di narrazione per spiegare attraverso elementi “fantastici” la formazione del mondo, per poi diventare oggetto dell’Epica e del genere fantasy in futuro. I classici ci hanno insegnato l’amore per il bello, per l’armonia, soprattutto la capacità di osservare la natura e coglierla nella sua piena essenza, di conoscere meglio l’anima dell’uomo e renderla compartecipe col mondo esterno. La mitologia non è solo un racconto allegorico, ma nasconde in quanto tale una “verità” (almeno per gli antichi). Dal mito siamo poi passati alla mitopoiesi, ossia alla costruzione vera e propria del “mythos”, inteso in senso più ampio, non solo come un semplice racconto ma come un microcosmos, un insieme di elementi coerenti fra di loro che, secondo l’attitudine creativa del proprio creatore, riesce a dare alla luce un vero e proprio mondo, completo della sua cultura, delle sue tradizioni, delle sue razze, religioni e tant’altro, che oggi chiamiamo comunemente ambientazione; un sostrato fantastico che sta alla base del genere fantasy. Qui, si ha il passaggio netto da “aedo” a “poeta letterario”.
Poesia e fantasy perfettamente uniti in quest'opera. Come ti è venuto in mente?
Come detto prima, tenendo in considerazione la tradizione epica classica come base della mia scrittura, secondo un approccio assimilativo e non emulativo, ossia cercando di fare propri gli strumenti di tale genere, e non cercando di copiare per esempio Omero o Virgilio, il passaggio al fantasy è stato una diretta conseguenza. Per esempio, la presenza stessa della figura del drago la troviamo già con Giasone e gli Argonauti, o nel poema del Beowulf, o nella Saga dei Nibelunghi, e così via. Perfettamente uniti perché fedele e coerente con la tradizione precedente. Non è una novità o un’anomalia che il fantasy sia scritto in verso. Ho seguito, secondo influenze e non secondo tutte le regole, anche i dettami della poesia scaldica, per esempio nell’uso dell’allitterazione o di alcune kenningar (metafore perifrastiche); così come, alcuni approcci formulari e la strutturazione in strofe, o finanche l’uso di epiteti. Molto ci sarebbe da dire su questo, ma limito soltanto a precisare che l’approccio epico è nato con il verso, pertanto mi sento più che fedele a tale contesto, nulla dovendo recriminare a me stesso per non aver scelto il genere narrativo, consapevole che ha molta più eco a livello di vendite. Drak’kast è nato da un atto d’amore e non da una pianificazione di marketing. Un’altra verità, e lo dico in maniera onesta, è che non so scrivere narrativa; mi esprimo meglio col verso. È come chiedere a un pittore perché abbia scelto il pennello al posto della penna. Da questo punto di vista, mi sento meno ipocrita di altri che tendono a forzare il genere pur non sapendolo scrivere.
Per quale scopo hai cercato di intraprendere questo esperimento?
Tendenzialmente per me stesso. Chiamarlo esperimento però è riduttivo. Trattando costantemente il genere del poema, alla fine è stata soltanto una diretta conseguenza e la derivazione di uno stile preesistente molto profondo. La sperimentazione, alla quale ti riferisci, risiede più nel tentativo di strutturare a livello concettuale una particolare forma poetica: il Kar’drak, la poesia dei draghi. All’interno del Drak’kast è contenuta un’appendice proprio su questo tipo di verso, che viene poi approfondita con un saggio breve, proprio dal titolo “Kar’drak, la poesia dei draghi”, scaricabile alla pagina del libro presso il sito di Edizioni della Sera.
Draghi e elfi: come mai queste due razze piuttosto che altre?
Il motivo più semplice è quello preferenziale. Amo queste due razze, e ho cercato di farle coesistere all’interno di un’ambientazione specifica che porta il nome di Dragonbound. Esse, adesso, non solo vivono in piena armonia, o quasi, ma addirittura cooperano per l’accrescimento del potere della magia (elfica e draconica fuse insieme). Gli elfi hanno altresì insegnato ai draghi l’uso del potere di manipolazione del canto, forgiando la casta degli hadragnir, di cui fa parte il protagonista del Drak’kast; e, in maniera indiretta, la manipolazione del soffio (nyuarad). Inoltre draghi ed elfi hanno implicazioni profonde a livello metaforico e linguistico. I primi, derivando il tutto dalla radice derkhomai del termine greco drakon (“avere un determinato sguardo”), mentre i secondi incarnando l’ideale di bello, e quindi donando al contesto un forte valore estetico (da non confondere con formale). Il drago è il visore di una realtà altra, è lo sguardo della poesia sul mondo che ci circonda, alla ricerca del Bello assoluto, dell’Ineffabile. Lo stesso protagonista è un naùstarak, un drago metamorfosato nelle sembianze di un elfo.
Hai mai pensato di ottener tale riconoscenza da parte del pubblico?
No, quando scrivo non penso mai al pubblico di destinazione. Ho sempre avuto nel tempo, come si diceva per i greci, un pubblico addestrato proveniente in maggioranza da professori universitari, critici, e studiosi, comunque sempre del settore. Uno scrittore scrive prima di tutto per se stesso (indipendentemente dalla questione editoriale), anche se così non è proprio ai tempi d’oggi. Ci sono autori che scrivono ad hoc in base alle richieste del mercato. In ogni modo, ho ricevuto molti apprezzamenti da parte del pubblico, pur appartenendo i più al genere della narrativa fantasy. Drak’kast è pur sempre un’opera molto controversa che sta in bilico tra poesia e “narrativa” (più nel senso di “epos” classico che di genere). Comunque sono soddisfatto.
Hai mai pensato di scrivere un vero e proprio poema omerico con personaggi quasi esclusivamente umani?
Sì. Peraltro ho scritto tempo fa “Promachos e il tamburo da guerra”, un’opera abbastanza insolita che raggruppa attraverso dei ponti narrativi una serie di canti tematici sulla guerra. Questi canti vengono eseguiti da dei guerrieri noti col nome di Polemadontes, i Cantaguerra, presso la Troade. I personaggi sono sì guerrieri, ma ognuno di loro incarna una qualità specifica che oltremodo influenza lo stile e l’approccio al testo. Per esempio, Carrothos di Sparta, canta della Battaglia delle Termopili con grande ardore battagliero.
Progetti?
Tanti. Il primo di tutti, un corso di composizione poetica presso le Scuole Elementari di Settimo Milanese, che mi occuperà tutto l’anno. Secondo poi, quest’anno avrò due pubblicazioni con due Case Editrici diverse; generi diversi. Con una, in particolare, ho deciso di ritornare alle origini: Poesia. Per essere precisi, qui, mi sono avvicinato al genere del “Poema sinfonico”. Per l’altro, è tutto un mistero. Il 15 Ottobre invece uscirà il mio primo libro da Curatore editoriale, incentrato sulla poesia giapponese haiku. In questo volume, ho riunito ben venticinque haijin italiani sul tema dell’Inverno. Il prossimo riguarderà la Primavera, chiudendo poi in successione il ciclo stagionale. E non per ultimo, un poemetto fantasy a carattere epico, dal titolo Fireblending. Quest’opera nasce come mio personale tributo al Beowulf, sviluppando, per l’esattezza, un tema specifico; sarà inserita in un’antologia che riunirà altri scrittori di fantasy.
Un saluto anche a te, caro Ezio, e grazie per questo bellissimo dialogo. Soprattutto complimenti per questa tua passione che porti avanti con gran dedizione.
Hai già scritto qualcos'altro? Vuoi parlarne?
Ho pubblicato nel 2001 “I Giardini di Orfeo”: una raccolta di poesie sui miti greci. Diciamo un’opera che appartiene al mio periodo di acerbo poeta, in cui rivisito i diversi paradigmi mitici con un tocco molto più lirico, e una visione più umana. Diversi sono stati poi gli scritti, in ogni modo sempre strutturati in opere tematiche, spaziando dalla Saggistica (per esempio “Hysteron”) all’eros ninfale (“Amor di Ninfa”), senza tralasciare la silloge tematica sulle Ninfee (“Ninfee”), e non per ultimo la favola poetica “Shams Al Nahar e le dieci perle d’Oriente”.
Qualcuno ti ha definito "nuovo cantore, aedo". Che ne pensi?
Hai dimenticato il più importante, “Cantore di Draghi”. Tutto molto lusinghiero, se non pittoresco, ma credo che si sposi bene con la finalità del testo e con il mio stile altamente musicale. Soprattutto per l’uso del poema e per la ripresa della tradizione epica. Nella mia poesia, e nello specifico nei miei poemi, c’è la riscoperta e la valorizzazione della componente musicale, elemento che si è perso col tempo, anche a causa della banalizzazione sempre più imperante del cosiddetto linguaggio parlato, oramai innalzato a unica e sola forma di comunicazione poetica. La poesia usa il linguaggio poetico e presuppone studio. Si diffidi di chi, per propria irresponsabilità o per avvalorare le proprie preghierine della sera o ancora mere tautologie, tende a liquidare rapidamente la questione sulla tecnica. C’è chi ci riesce inconsapevolmente, a livello istintivo, ma perché poi precludersi una tavolozza da milioni di colori? È come un pittore che dipinge sempre con tre colori senza usare le sfumature e le diverse gradazioni. Anche lo stesso fantasy nasce dal mito e proviene dalla tradizione dell’epica classica, soprattutto guardando a quella germanica. Pertanto non vedo così inusuale e assurdo che io abbia usato il verso per scrivere fantasy.
Mitologia e mondo classico: quanto influenti e importanti?
Cercherò di essere molto sintetico. La mitologia e il mondo classico sono, secondo me, imprescindibili da qualsiasi forma di cultura e genere. Il mito nacque inizialmente come forma di narrazione per spiegare attraverso elementi “fantastici” la formazione del mondo, per poi diventare oggetto dell’Epica e del genere fantasy in futuro. I classici ci hanno insegnato l’amore per il bello, per l’armonia, soprattutto la capacità di osservare la natura e coglierla nella sua piena essenza, di conoscere meglio l’anima dell’uomo e renderla compartecipe col mondo esterno. La mitologia non è solo un racconto allegorico, ma nasconde in quanto tale una “verità” (almeno per gli antichi). Dal mito siamo poi passati alla mitopoiesi, ossia alla costruzione vera e propria del “mythos”, inteso in senso più ampio, non solo come un semplice racconto ma come un microcosmos, un insieme di elementi coerenti fra di loro che, secondo l’attitudine creativa del proprio creatore, riesce a dare alla luce un vero e proprio mondo, completo della sua cultura, delle sue tradizioni, delle sue razze, religioni e tant’altro, che oggi chiamiamo comunemente ambientazione; un sostrato fantastico che sta alla base del genere fantasy. Qui, si ha il passaggio netto da “aedo” a “poeta letterario”.
Poesia e fantasy perfettamente uniti in quest'opera. Come ti è venuto in mente?
Come detto prima, tenendo in considerazione la tradizione epica classica come base della mia scrittura, secondo un approccio assimilativo e non emulativo, ossia cercando di fare propri gli strumenti di tale genere, e non cercando di copiare per esempio Omero o Virgilio, il passaggio al fantasy è stato una diretta conseguenza. Per esempio, la presenza stessa della figura del drago la troviamo già con Giasone e gli Argonauti, o nel poema del Beowulf, o nella Saga dei Nibelunghi, e così via. Perfettamente uniti perché fedele e coerente con la tradizione precedente. Non è una novità o un’anomalia che il fantasy sia scritto in verso. Ho seguito, secondo influenze e non secondo tutte le regole, anche i dettami della poesia scaldica, per esempio nell’uso dell’allitterazione o di alcune kenningar (metafore perifrastiche); così come, alcuni approcci formulari e la strutturazione in strofe, o finanche l’uso di epiteti. Molto ci sarebbe da dire su questo, ma limito soltanto a precisare che l’approccio epico è nato con il verso, pertanto mi sento più che fedele a tale contesto, nulla dovendo recriminare a me stesso per non aver scelto il genere narrativo, consapevole che ha molta più eco a livello di vendite. Drak’kast è nato da un atto d’amore e non da una pianificazione di marketing. Un’altra verità, e lo dico in maniera onesta, è che non so scrivere narrativa; mi esprimo meglio col verso. È come chiedere a un pittore perché abbia scelto il pennello al posto della penna. Da questo punto di vista, mi sento meno ipocrita di altri che tendono a forzare il genere pur non sapendolo scrivere.
Per quale scopo hai cercato di intraprendere questo esperimento?
Tendenzialmente per me stesso. Chiamarlo esperimento però è riduttivo. Trattando costantemente il genere del poema, alla fine è stata soltanto una diretta conseguenza e la derivazione di uno stile preesistente molto profondo. La sperimentazione, alla quale ti riferisci, risiede più nel tentativo di strutturare a livello concettuale una particolare forma poetica: il Kar’drak, la poesia dei draghi. All’interno del Drak’kast è contenuta un’appendice proprio su questo tipo di verso, che viene poi approfondita con un saggio breve, proprio dal titolo “Kar’drak, la poesia dei draghi”, scaricabile alla pagina del libro presso il sito di Edizioni della Sera.
Draghi e elfi: come mai queste due razze piuttosto che altre?
Il motivo più semplice è quello preferenziale. Amo queste due razze, e ho cercato di farle coesistere all’interno di un’ambientazione specifica che porta il nome di Dragonbound. Esse, adesso, non solo vivono in piena armonia, o quasi, ma addirittura cooperano per l’accrescimento del potere della magia (elfica e draconica fuse insieme). Gli elfi hanno altresì insegnato ai draghi l’uso del potere di manipolazione del canto, forgiando la casta degli hadragnir, di cui fa parte il protagonista del Drak’kast; e, in maniera indiretta, la manipolazione del soffio (nyuarad). Inoltre draghi ed elfi hanno implicazioni profonde a livello metaforico e linguistico. I primi, derivando il tutto dalla radice derkhomai del termine greco drakon (“avere un determinato sguardo”), mentre i secondi incarnando l’ideale di bello, e quindi donando al contesto un forte valore estetico (da non confondere con formale). Il drago è il visore di una realtà altra, è lo sguardo della poesia sul mondo che ci circonda, alla ricerca del Bello assoluto, dell’Ineffabile. Lo stesso protagonista è un naùstarak, un drago metamorfosato nelle sembianze di un elfo.
Hai mai pensato di ottener tale riconoscenza da parte del pubblico?
No, quando scrivo non penso mai al pubblico di destinazione. Ho sempre avuto nel tempo, come si diceva per i greci, un pubblico addestrato proveniente in maggioranza da professori universitari, critici, e studiosi, comunque sempre del settore. Uno scrittore scrive prima di tutto per se stesso (indipendentemente dalla questione editoriale), anche se così non è proprio ai tempi d’oggi. Ci sono autori che scrivono ad hoc in base alle richieste del mercato. In ogni modo, ho ricevuto molti apprezzamenti da parte del pubblico, pur appartenendo i più al genere della narrativa fantasy. Drak’kast è pur sempre un’opera molto controversa che sta in bilico tra poesia e “narrativa” (più nel senso di “epos” classico che di genere). Comunque sono soddisfatto.
Hai mai pensato di scrivere un vero e proprio poema omerico con personaggi quasi esclusivamente umani?
Sì. Peraltro ho scritto tempo fa “Promachos e il tamburo da guerra”, un’opera abbastanza insolita che raggruppa attraverso dei ponti narrativi una serie di canti tematici sulla guerra. Questi canti vengono eseguiti da dei guerrieri noti col nome di Polemadontes, i Cantaguerra, presso la Troade. I personaggi sono sì guerrieri, ma ognuno di loro incarna una qualità specifica che oltremodo influenza lo stile e l’approccio al testo. Per esempio, Carrothos di Sparta, canta della Battaglia delle Termopili con grande ardore battagliero.
Progetti?
Tanti. Il primo di tutti, un corso di composizione poetica presso le Scuole Elementari di Settimo Milanese, che mi occuperà tutto l’anno. Secondo poi, quest’anno avrò due pubblicazioni con due Case Editrici diverse; generi diversi. Con una, in particolare, ho deciso di ritornare alle origini: Poesia. Per essere precisi, qui, mi sono avvicinato al genere del “Poema sinfonico”. Per l’altro, è tutto un mistero. Il 15 Ottobre invece uscirà il mio primo libro da Curatore editoriale, incentrato sulla poesia giapponese haiku. In questo volume, ho riunito ben venticinque haijin italiani sul tema dell’Inverno. Il prossimo riguarderà la Primavera, chiudendo poi in successione il ciclo stagionale. E non per ultimo, un poemetto fantasy a carattere epico, dal titolo Fireblending. Quest’opera nasce come mio personale tributo al Beowulf, sviluppando, per l’esattezza, un tema specifico; sarà inserita in un’antologia che riunirà altri scrittori di fantasy.
Un saluto anche a te, caro Ezio, e grazie per questo bellissimo dialogo. Soprattutto complimenti per questa tua passione che porti avanti con gran dedizione.
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