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lunedì 10 agosto 2015

Viaggio in Sicilia tra miti, storie, leggende

Esistono storie dovunque. Sin dalla sua comparsa sulla terra, l'uomo ha raccontato storie del suo vissuto attraverso pitture rupestri, pergamene, tavole di argilla, canti tramandati da generazioni.
L'uomo ha bisogno di storie, di trovare delle radici a cui aggrapparsi, di viaggiare con la mente valicando limiti e scoprendo nuovi orizzonti. Oggi viaggiamo insieme alla scoperta delle storie siciliane: che siano soltanto leggende, o che abbiano un pizzico di verità, diverse e affascinanti sono le storie che vedono come sottofondo scenografico l'antica terra siciliana. 

LA NASCITA DELLA SICILIA

Si racconta che i tre promontori (capo Peloro,capo Passero,capo Lilibeo), che rappresentano le punte estreme dell’isola e che le danno una forma triangolare, sorsero grazie a tre splendide ninfe che vagavano per il mondo a passi di danza, raccogliendo dai terreni più fertili manciate di terra, sassi e piccoli frutti. Arrivate in una regione che aveva un cielo particolarmente luminoso e limpido, le tre ninfe nel danzare andarono gettando in mare tutto quello che avevano raccolto nel loro girovagare: tutto ciò che venne buttato formò tre promontori. Il mare tra i tre promontori si illuminò come un arcobaleno e si solidificò, colmando lo spazio che separava i promontori.

Un’altra leggenda sulla nascita della Sicilia affonda le sue radici nel mito classico della lotta tra i Giganti e gli Dei. Dalle vette dei monti, i Giganti, guidati da Alcioneo, scagliavano massi e tizzoni ardenti contro gli dei e questi ultimi, a loro volta, scagliavano dardi, fulmini e massi contro di loro. Durante lo scontro, uno dei giganti, Encelado tentò di fuggire, ma venne colpito da Atena da un enorme masso: la Sicilia. L’urto fece crollare il gigante, che rimase per sempre sotterrato dal peso dell’isola. Il mito narra, ancora, che l’attività del vulcano Etna abbia origine dal respiro infuocato del gigante e che i terremoti vengano provocati dai suoi tentativi di scrollarsi dalla terra che lo sotterra. 

Un'ulteriore leggenda risale, presumibilmente, al periodo delle dominazione bizantina o araba in Sicilia. Una fanciulla, di nome Sicilia, nacque in un paese orientale, bagnato dal mar Mediterraneo. Alla suo nascita, un oracolo aveva profetizzato che, se la fanciulla avesse voluto superare il quindicesimo anno di età, avrebbe dovuto abbandonare la sua terra natia “da sola ed in barca” mentre se non lo avesse fatto, sarebbe stata divorata da un terribile mostro.
Compiuto il quindicesimo anno di età, la fanciulla, pertanto prende il largo affrontando un viaggio di tre mesi. Ormai prossima alla morte, viene spinta dai venti su una terra rigogliosa, riscaldata da un sole caldo e luminoso e ricca di alberi, di piante e di fiori. Saziata la fame e la sete, Sicilia avverte il peso della solitudine e si abbandona alle lacrime, fino a non averne più da versare.
Le si avvicina, allora, un bellissimo giovane che la conforta e rassicura.
Costui le spiega il perché di quella terra senza abitanti: un tempo quella terra era popolata, ma una terribile pestilenza fece morire tutti gli originari abitanti.
Il giovane aggiunge che gli dei vogliono che questa terra torni ad essere popolata da una razza migliore di quella precedente e per farlo hanno scelto proprio loro: dall'unione dei due giovani nascerà il popolo siciliano.


COLAPESCE

La leggenda narra di un certo Nicola con il diminutivo di "Cola" di Messina, figlio di un pescatore, soprannominato Colapesce per la sua abilità di muoversi in acqua.
Quando torna dalle sue numerose immersioni in mare racconta le meraviglie che vede, e addirittura una volta porta un tesoro. La sua fama arriva al re di Sicilia ed imperatore Federico II che decide di metterlo alla prova. Il re e la sua corte si recano pertanto al largo a bordo di un'imbarcazione. Per prima cosa butta in acqua una coppa, e subito Colapesce la recupera.
Il re getta allora la sua corona in un luogo più profondo, e Colapesce riesce nuovamente nell'impresa. Per la terza volta il re mette alla prova Nicola gettando un anello in un posto ancora più profondo, ma passa il tempo e Colapesce non riemerge più.
Secondo la leggenda, scendendo ancora più in profondità Colapesce aveva visto che la Sicilia posava su tre colonne delle quali una corrosa, ed aveva deciso di restare sott'acqua, sorreggendo la colonna per evitare che l'isola sprofondasse.


"La genti lu chiamava colapisci

picchì stava 'ntò mari comu un pisci
dundi vinia nun lu sapia nessunu
fors'era figghiu di lu diu nettunu
un jornu a cola u re fici chiamari
e cola di lu mari curi e veni"



LA BARONESSA DI CARINI

Aveva soltanto 14 anni Donna Laura Lanza quando, per volere del padre, sposò il barone di Carini. Di grande bellezza e ottima famiglia, Laura era una ragazza contesa, in grado di dar lustro a molte delle famiglie locali. I migliori candidati del tempo erano i Vernagallo e La Grua-Talamaca che pare abbiano bruciato i tempi e chiesto per primi la donna in sposa per il figlio Vincenzo, barone di Carini. Il 21 dicembre 1543 la giovanissima Laura si sposò, sebbene la simpatia e tenerezza che la ragazza provava verso Ludovico Vernagallo fossero note a tutti. Il matrimonio non turbò tuttavia il legame di amicizia tra le due famiglie, anche perché Ludovico era considerato di casa. Ma l’idillio non sarebbe durato. Col tempo iniziarono infatti ad emergere i primi contrasti tra i La Grua, i Lanza e i Vernagallo, conflitti che alimentarono insinuazioni e calunnie, portando inoltre a quel tragico evento per cui la storia della baronessa di Carini divenne in seguito leggenda. Stando ai racconti della tradizione, si narra che, in preda alla delusione per un matrimonio infelice e un marito che la trascurava, la donna, in realtà innamorata da sempre di Ludovico Vernagallo, abbia ceduto alla passione diventandone presto amante. Purtroppo scoperta sia dal marito che dal padre, la donna venne da loro brutalmente uccisa. Sempre secondo la leggenda, l’omicidio avvenne in una stanza poi crollata e originariamente situata nell’ala ovest del castello in cui viveva la famiglia, lì dove la stessa leggenda vuole che su una parete sia rimasta per lungo tempo l’impronta insanguinata della baronessa. I documenti che si riferiscono a questa vicenda confermano in parte la leggenda. Di alcune carte conservate negli archivi di Carini fa parte la comunicazione che l’allora Viceré di Sicilia fece alla Corte di Spagna di un omicidio appena avvenuto: Cesare Lanza, barone di Trabia e conte di Mussomeli, aveva ucciso la figlia Laura e Ludovico Vernagallo. Inoltre, conservati nell’archivio della Chiesa Madre di Carini, vi sono anche l’atto di morte della baronessa, redatto il 4 dicembre del 1563, insieme a quello di Ludovico. Non esiste invece alcun documento certo che attesti che tra i due giovani vi fosse in realtà un rapporto molto più che amichevole. Ed è qui, nella mancanza di altri dati che possano spiegare la dinamica del tragico evento, che ha attecchito la leggenda. Cesare Lanza di Trabia avrebbe ucciso con la complicità del genero la figlia Laura e, attraverso dei sicari, anche Ludovico Vernagallo, colpevoli di aver leso con il loro tradimento l’onore della famiglia.



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