L'uomo ha bisogno di storie, di trovare delle radici a cui aggrapparsi, di viaggiare con la mente valicando limiti e scoprendo nuovi orizzonti. Oggi viaggiamo insieme alla scoperta delle storie siciliane: che siano soltanto leggende, o che abbiano un pizzico di verità, diverse e affascinanti sono le storie che vedono come sottofondo scenografico l'antica terra siciliana.
LA NASCITA DELLA SICILIA
Si
racconta che i tre promontori
(capo
Peloro,capo
Passero,capo Lilibeo),
che
rappresentano le punte estreme dell’isola e che le danno una forma
triangolare, sorsero grazie a tre splendide ninfe che vagavano per il
mondo a passi di danza, raccogliendo dai terreni più fertili
manciate di terra, sassi e piccoli frutti. Arrivate in una regione
che aveva un cielo particolarmente luminoso e limpido, le tre ninfe
nel danzare andarono gettando in mare tutto quello che avevano
raccolto nel loro girovagare: tutto ciò che venne buttato formò tre
promontori. Il mare tra i tre promontori si illuminò come un
arcobaleno e si solidificò, colmando lo spazio che separava i
promontori.
Un’altra
leggenda sulla nascita
della Sicilia affonda
le sue radici nel mito classico della lotta tra i Giganti e gli Dei.
Dalle vette dei monti, i Giganti, guidati da Alcioneo, scagliavano
massi e tizzoni ardenti contro gli dei e questi ultimi, a loro volta,
scagliavano dardi, fulmini e massi contro di loro. Durante lo
scontro, uno dei giganti, Encelado tentò di fuggire, ma venne
colpito da Atena da un enorme masso: la
Sicilia.
L’urto fece crollare il gigante, che rimase per sempre sotterrato
dal peso dell’isola. Il mito narra, ancora, che l’attività del
vulcano Etna
abbia
origine dal respiro infuocato del gigante e che i terremoti vengano
provocati dai suoi tentativi di scrollarsi dalla terra che lo
sotterra.
Un'ulteriore
leggenda risale, presumibilmente, al periodo delle dominazione
bizantina o araba in Sicilia. Una fanciulla, di nome Sicilia,
nacque in un paese orientale, bagnato dal mar Mediterraneo. Alla suo
nascita, un oracolo aveva profetizzato che, se la fanciulla avesse
voluto superare il quindicesimo anno di età, avrebbe dovuto
abbandonare la sua terra natia “da sola ed in barca” mentre se
non lo avesse fatto, sarebbe stata divorata da un terribile mostro.
Compiuto
il quindicesimo anno di età, la fanciulla, pertanto prende il largo
affrontando un viaggio di tre mesi. Ormai prossima alla morte, viene
spinta dai venti su una terra rigogliosa, riscaldata da un sole caldo
e luminoso e ricca di alberi, di piante e di fiori. Saziata la fame e
la sete, Sicilia
avverte
il peso della solitudine e si abbandona alle lacrime, fino a non
averne più da versare.
Le
si avvicina, allora, un bellissimo giovane che la conforta e
rassicura.
Costui le spiega il perché di quella terra senza abitanti: un tempo quella terra era popolata, ma una terribile pestilenza fece morire tutti gli originari abitanti.
Il giovane aggiunge che gli dei vogliono che questa terra torni ad essere popolata da una razza migliore di quella precedente e per farlo hanno scelto proprio loro: dall'unione dei due giovani nascerà il popolo siciliano.
Costui le spiega il perché di quella terra senza abitanti: un tempo quella terra era popolata, ma una terribile pestilenza fece morire tutti gli originari abitanti.
Il giovane aggiunge che gli dei vogliono che questa terra torni ad essere popolata da una razza migliore di quella precedente e per farlo hanno scelto proprio loro: dall'unione dei due giovani nascerà il popolo siciliano.
COLAPESCE
La
leggenda narra di un certo Nicola con il diminutivo di "Cola"
di Messina, figlio di un pescatore, soprannominato Colapesce per la
sua abilità di muoversi in acqua.
Quando torna dalle sue numerose immersioni in mare racconta le meraviglie che vede, e addirittura una volta porta un tesoro. La sua fama arriva al re di Sicilia ed imperatore Federico II che decide di metterlo alla prova. Il re e la sua corte si recano pertanto al largo a bordo di un'imbarcazione. Per prima cosa butta in acqua una coppa, e subito Colapesce la recupera.
Il re getta allora la sua corona in un luogo più profondo, e Colapesce riesce nuovamente nell'impresa. Per la terza volta il re mette alla prova Nicola gettando un anello in un posto ancora più profondo, ma passa il tempo e Colapesce non riemerge più.
Quando torna dalle sue numerose immersioni in mare racconta le meraviglie che vede, e addirittura una volta porta un tesoro. La sua fama arriva al re di Sicilia ed imperatore Federico II che decide di metterlo alla prova. Il re e la sua corte si recano pertanto al largo a bordo di un'imbarcazione. Per prima cosa butta in acqua una coppa, e subito Colapesce la recupera.
Il re getta allora la sua corona in un luogo più profondo, e Colapesce riesce nuovamente nell'impresa. Per la terza volta il re mette alla prova Nicola gettando un anello in un posto ancora più profondo, ma passa il tempo e Colapesce non riemerge più.
Secondo
la leggenda, scendendo ancora più in profondità Colapesce aveva
visto che la Sicilia posava su tre colonne delle quali una corrosa,
ed aveva deciso di restare sott'acqua, sorreggendo la colonna per
evitare che l'isola sprofondasse.
"La
genti lu chiamava colapisci
picchì
stava 'ntò mari comu un pisci
dundi
vinia nun lu sapia nessunu
fors'era
figghiu di lu diu nettunu
un jornu a
cola u re fici chiamari
e cola di lu
mari curi e veni"
LA BARONESSA DI CARINI
Aveva
soltanto 14 anni Donna Laura Lanza quando, per volere del padre,
sposò il barone di Carini. Di grande bellezza e ottima famiglia,
Laura era una ragazza contesa, in grado di dar lustro a molte delle
famiglie locali. I migliori candidati del tempo erano i Vernagallo e
La Grua-Talamaca che pare abbiano bruciato i tempi e chiesto per
primi la donna in sposa per il figlio Vincenzo, barone di Carini. Il
21 dicembre 1543 la giovanissima Laura si sposò, sebbene la simpatia
e tenerezza che la ragazza provava verso Ludovico Vernagallo fossero
note a tutti. Il matrimonio non turbò tuttavia il legame di amicizia
tra le due famiglie, anche perché Ludovico era considerato di casa.
Ma l’idillio non sarebbe durato. Col tempo iniziarono infatti ad
emergere i primi contrasti tra i La Grua, i Lanza e i Vernagallo,
conflitti che alimentarono insinuazioni e calunnie, portando inoltre
a quel tragico evento per cui la storia della baronessa di Carini
divenne in seguito leggenda. Stando ai racconti della tradizione, si
narra che, in preda alla delusione per un matrimonio infelice e un
marito che la trascurava, la donna, in realtà innamorata da sempre
di Ludovico Vernagallo, abbia ceduto alla passione diventandone
presto amante. Purtroppo scoperta sia dal marito che dal padre, la
donna venne da loro brutalmente uccisa. Sempre secondo la leggenda,
l’omicidio avvenne in una stanza poi crollata e originariamente
situata nell’ala ovest del castello in cui viveva la famiglia, lì
dove la stessa leggenda vuole che su una parete sia rimasta per lungo
tempo l’impronta insanguinata della baronessa. I documenti che si
riferiscono a questa vicenda confermano in parte la leggenda. Di
alcune carte conservate negli archivi di Carini fa parte la
comunicazione che l’allora Viceré di Sicilia fece alla Corte di
Spagna di un omicidio appena avvenuto: Cesare Lanza, barone di Trabia
e conte di Mussomeli, aveva ucciso la figlia Laura e Ludovico
Vernagallo. Inoltre, conservati nell’archivio della Chiesa Madre di
Carini, vi sono anche l’atto di morte della baronessa, redatto il 4
dicembre del 1563, insieme a quello di Ludovico. Non esiste invece
alcun documento certo che attesti che tra i due giovani vi fosse in
realtà un rapporto molto più che amichevole. Ed è qui, nella
mancanza di altri dati che possano spiegare la dinamica del tragico
evento, che ha attecchito la leggenda. Cesare Lanza di Trabia avrebbe
ucciso con la complicità del genero la figlia Laura e, attraverso
dei sicari, anche Ludovico Vernagallo, colpevoli di aver leso con il
loro tradimento l’onore della famiglia.
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