Teatro dell'assurdo è
la denominazione di un particolare tipo di opere scritte da alcuni drammaturghi,
soprattutto europei, sul finire degli anni '40, '50 e '60. Con
lo stesso termine si identifica anche tutto lo stile teatrale nato
dall'evoluzione dei loro lavori. Per Esslin il lavoro di questi autori consiste
in una articolazione artistica del concetto filosofico di assurdità
dell'esistenza, elaborato dagli autori dell'Esistenzialismo. Le caratteristiche
peculiari del teatro dell'assurdo sono il deliberato abbandono di un costrutto
drammaturgico razionale e il rifiuto del linguaggio logico-consequenziale. La
struttura tradizionale (trama di eventi, concatenazione, scioglimento) viene
rigettata e sostituita da un'alogica successione di eventi, legati fra loro da
una labile ed effimera traccia (uno stato d'animo o un'emozione),
apparentemente senza alcun significato. Il teatro dell'assurdo si caratterizza
per dialoghi senza senso, ripetitivi e serrati, capaci di suscitare a volte il
sorriso nonostante il senso tragico del dramma che stanno vivendo i personaggi.
Di certo, l’autore più
celebre è Samuel Beckett con l’opera “Aspettando Godot” che gira tutta intorno
alla stasi, alla mancanza di azione, all’incomunicabilità, al paradosso.
La trama è assolutamente elementare: due uomini, Vladimir e Estragon,
aspettano l’arrivo di un terzo, di nome Godot, che però non arriverà mai.
Non sappiamo chi siano questi due uomini, dove si trovino, chi sia questo Godot
e perché lo stiano aspettando. Le stesse didascalie sono assolutamente vaghe: “Una
strada di campagna. Un albero. Sera”. Mentre Estragon e Vladimir aspettano
entrano in scena altri tre personaggi: Pozzo col suo
schiavo Lucky e un ragazzo, il quale comunica che Godot non
riuscirà ad arrivare ma verrà senz’altro il giorno successivo. Il secondo atto
si apre sulla stessa scena (“Il giorno dopo. Stessa ora. Stesso posto”, ci
informa Beckett). Tutto si ripete quasi allo stesso modo salvo che ora Pozzo è
cieco e Lucky è muto e Pozzo non ricorda di aver incontrato Vladimir ed
Estragon il giorno prima. Anche il ragazzo, che riappare per comunicare ancora
una volta che Godot non riesce a venire ma verrà senz’altro l’indomani,
sostiene di non aver mai fatto quella stessa azione prima e di non aver mai
incontrato Vladimir ed Estragon.
Il particolare lessico si riassume nei silenzi e
nelle lunghe pause che intercorrono tra un dialogo e l’altro; dialoghi
peraltro, molto brevi, ma pregni di incisività. Il silenzio e le pause sono per
Beckett il chiaro esempio dell’incapacità dell’uomo di comunicare con i
suoi simili. La scenografia è molto spoglia: un albero un lampione sono
sufficienti per offrire la pienezza delle parole e centrare l’attenzione su di
esse e sulla loro irrealtà. I personaggi sono persone sospese nel tempo,
incapaci di muoversi e di affrontare la vita basata sull’attesa. Il destino,
altro elemento da non disconoscere, è qui disegnato come punto interrogativo,
legato all’attesa di Godot, che forse cambierà la vita dei due protagonisti.
Subentra improvviso, ma inevitabile nel contempo, l’elemento della delusione, tanto da far pensare i due protagonisti al “suicidio”, come atto estremo di una snervante inutilità dell’esistenza.
Filosofia della fragilità, della precarietà vitale che può avvolgere tutti indistintamente, una realtà schiacciante a cui far fronte, poiché Godot non verrà.
Subentra improvviso, ma inevitabile nel contempo, l’elemento della delusione, tanto da far pensare i due protagonisti al “suicidio”, come atto estremo di una snervante inutilità dell’esistenza.
Filosofia della fragilità, della precarietà vitale che può avvolgere tutti indistintamente, una realtà schiacciante a cui far fronte, poiché Godot non verrà.
Ciao, ho trovato il tuo post molto interessante,complimenti :-)
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