Ultimo libro di Joyce in cui viene portato alle
estreme conseguenze il flusso di coscienza, definito dallo stesso Stanilaslaus
Joyce, il fratello di James, «l’ultimo delirio della letteratura prima della
sua estinzione».
La narrazione si svolge interamente all’interno di un
sogno del protagonista, vengono abolite le normali norme della grammatica e
dell’ortografia, sparisce la punteggiatura, le parole si fondono tra loro
cercando di riprodurre il confuso linguaggio onirico, ma riuscendo così assai
oscure. Composto da quattro libri, ricava il titolo da un’antica ballata
popolare irlandese: il muratore Ted Finnegan, col vizio di bere, muore battendo
la testa e, durante la veglia in suo onore, resuscita dalla bara appena sente
stappare una bottiglia di whisky… Un’allegoria del ciclo universale della vita.
Il termine wake significa allo stesso tempo «veglia funebre» e «risveglio». La
sua efficacia drammatica si fonda sul fatto che noi non veniamo a sapere se non
quasi alla fine (alle pagine 555-590, in cui Earwicker si sveglia parzialmente)
che i voli di fantasia erotici e gli orrori del rimorso nel suo sogno sono
stati ispirati da ciò che Earwicker sente per i propri figli. Ma non si tratta
solo di questo. Joyce si propone in più di creare, nel corso del sogno
mitopoetico di Earwicker, un sistema di simboli ancora più generali e
fondamentali: egli ha voluto che Earwicker, risolto nei suoi componenti
elementari, includesse tutta l’umanità e che, vivendo anche una doppia esistenza,
impersonasse sia la Gioventù che la Vecchiaia. E se raccontare la «trama» di
Finnegans Wake è inutile oltre che difficilissimo, tentare di «spiegare» la
lingua in cui è scritto è un ulteriore salto nel vuoto. La condensazione di
parole è portata all’estremo, le lingue e i dialetti usati sono almeno una
ventina, senza contare gli idiomi inventati, i neologismi nascono dalla fusione
di termini in lingue differenti oppure accordando insieme suoni e pensieri,
vocali e consonanti si scambiano, le onomatopee abbondano.
Consiglio per un approfondimento molto dettagliato e
interessante (se non fosse così astruso vorrei leggerlo) questo sito: Una lettura di Finnigans Wake.
Chi si è cimentato nell’ardua impresa di tradurre il
testo in lingua italiana è stato il geniale traduttore bolognese Luigi Schenoni
che dedicò gran parte della sua vita nel lavoro di traduzione dell’opera
completa. Schenoni tuttavia morì prima di riuscire a completare gli ultimi
quattro capitoli. Ma la lacuna sta per essere colmata: Enrico Terrinoni e Fabio
Pedone, che ora escono con la penultima tranche dell’opera (proseguendo il
lavoro di chi tradusse i primi due terzi), si sono impegnati anche ad arrivare
alla fine. Entro il 4 maggio 2019, ottantesimo anniversario della pubblicazione
del romanzo, il Finnegans Wake sarà tutto in italiano. «Ci sono voluti quasi tre anni, cinque ore al giorno,
per tradurre 70 pagine che, si fosse trattato di un testo qualunque, avrebbero
richiesto sette giorni di lavoro», spiega Terrinoni, ordinario di Letteratura
inglese all’Università per stranieri di Perugia. «Dopo aver affrontato
separatamente ogni brano ed esserci poi revisionati a vicenda, abbiamo iniziato
un lungo ping pong di idee, proposte, compromessi: la versione finale ha
continuato a cambiare fino all’ultimo»
Che ne pensate?
Lo leggereste?
Cosa avete letto di Joyce?
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