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mercoledì 18 gennaio 2017

"Finnegans Wake" e l'arte (quasi impossibile) di tradurre

Risultati immagini per finnegans wakeMaestro indiscusso del flusso di coscienza, Joyce ci diede soltanto qualche boccone nell'opera "Gente di Dublino" facendoci assaporare una nuova tecnica narrativa che eliminava gli orpelli descrittivi e narrativi per fare dei personaggi l'elemento centrale (o forse l'unico elemento in realtà), esponendoli al lettore senza filtri e veli interposti ma sviscerandone direttamente la psiche conturbante e priva di logiche regolarità, seguendone i contorni indefiniti e fugaci come i venti settentrionali, mostrando nella loro interezza e disconnessione i pensieri che si celano nella mente di ognuno di noi e che si rincorrono veloci, sostituendosi, contraddicendosi, lasciandosi trasportare da un particolare, un dettaglio, un ricordo venuto fuori, sperimentazione di un'epifania nuova. Ma quello era soltanto l'inizio. Se con "Gente di Dublino" Joyce inizia a sperimentare attraverso dei racconti brevi, è con "Ulisse" che raggiunge l'apice, l'estrema riproduzione dell' assurda velocità dei nostri pensieri in un caotico viaggio mentale che non si interrompe mai, ma si arricchisce di continuo. Ma Joyce non ha di certo smesso di stupire. Impresa ancora più ardua è forse rappresentata dall'opera "Finnegans Wake" di cui si è sentito parlare sopratutto ultimamente per l'impresa "eroica" di traduzione italiana.
Ultimo libro di Joyce in cui viene portato alle estreme conseguenze il flusso di coscienza, definito dallo stesso Stanilaslaus Joyce, il fratello di James, «l’ultimo delirio della letteratura prima della sua estinzione».


La narrazione si svolge interamente all’interno di un sogno del protagonista, vengono abolite le normali norme della grammatica e dell’ortografia, sparisce la punteggiatura, le parole si fondono tra loro cercando di riprodurre il confuso linguaggio onirico, ma riuscendo così assai oscure. Composto da quattro libri, ricava il titolo da un’antica ballata popolare irlandese: il muratore Ted Finnegan, col vizio di bere, muore battendo la testa e, durante la veglia in suo onore, resuscita dalla bara appena sente stappare una bottiglia di whisky… Un’allegoria del ciclo universale della vita. Il termine wake significa allo stesso tempo «veglia funebre» e «risveglio». La sua efficacia drammatica si fonda sul fatto che noi non veniamo a sapere se non quasi alla fine (alle pagine 555-590, in cui Earwicker si sveglia parzialmente) che i voli di fantasia erotici e gli orrori del rimorso nel suo sogno sono stati ispirati da ciò che Earwicker sente per i propri figli. Ma non si tratta solo di questo. Joyce si propone in più di creare, nel corso del sogno mitopoetico di Earwicker, un sistema di simboli ancora più generali e fondamentali: egli ha voluto che Earwicker, risolto nei suoi componenti elementari, includesse tutta l’umanità e che, vivendo anche una doppia esistenza, impersonasse sia la Gioventù che la Vecchiaia. E se raccontare la «trama» di Finnegans Wake è inutile oltre che difficilissimo, tentare di «spiegare» la lingua in cui è scritto è un ulteriore salto nel vuoto. La condensazione di parole è portata all’estremo, le lingue e i dialetti usati sono almeno una ventina, senza contare gli idiomi inventati, i neologismi nascono dalla fusione di termini in lingue differenti oppure accordando insieme suoni e pensieri, vocali e consonanti si scambiano, le onomatopee abbondano.
Consiglio per un approfondimento molto dettagliato e interessante (se non fosse così astruso vorrei leggerlo) questo sito: Una lettura di Finnigans Wake

Così traduciamo in italiano  "Finnegans Wake"
Chi si è cimentato nell’ardua impresa di tradurre il testo in lingua italiana è stato il geniale traduttore bolognese Luigi Schenoni che dedicò gran parte della sua vita nel lavoro di traduzione dell’opera completa. Schenoni tuttavia morì prima di riuscire a completare gli ultimi quattro capitoli. Ma la lacuna sta per essere colmata: Enrico Terrinoni e Fabio Pedone, che ora escono con la penultima tranche dell’opera (proseguendo il lavoro di chi tradusse i primi due terzi), si sono impegnati anche ad arrivare alla fine. Entro il 4 maggio 2019, ottantesimo anniversario della pubblicazione del romanzo, il Finnegans Wake sarà tutto in italiano. «Ci sono voluti quasi tre anni, cinque ore al giorno, per tradurre 70 pagine che, si fosse trattato di un testo qualunque, avrebbero richiesto sette giorni di lavoro», spiega Terrinoni, ordinario di Letteratura inglese all’Università per stranieri di Perugia. «Dopo aver affrontato separatamente ogni brano ed esserci poi revisionati a vicenda, abbiamo iniziato un lungo ping pong di idee, proposte, compromessi: la versione finale ha continuato a cambiare fino all’ultimo»


Che ne pensate?
Lo leggereste?
Cosa avete letto di Joyce?

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