GLI INCONVENIENTI DELLA VITA
Adelphi| 122 pp. | €16,00
Queste storie raccontano due diverse e molto singolari forme di inquietudine: il malessere sottile che si allarga come una crepa nella vita in comune di due uomini, e la lunga guerra «misteriosa e mai dichiarata» in cui può trasformarsi un matrimonio di vecchia data. Le due coppie non potrebbero essere più distanti: lo scrittore in crisi creativa che divide un appartamento a Tribeca con un avvocato in carriera, e i due pensionati di una spenta cittadina di provincia, dove gli unici eventi degni di nota sono le periodiche inondazioni del fiume e gli appuntamenti della chiesa metodista. Casi da cui emana la sensazione di «un vivere fasullo, rabberciato, sempre lì lì per implodere o franare»; e infatti, sotto la superficie, questi rapporti vanno in pezzi davanti ai nostri occhi, lasciandoci attoniti e frastornati.
La solitudine, la crepa, l'incomunicabilità, l'incontenibile straripare dell'inquietudine esistenziale. Questa è l'essenza dei due racconti che ci vengono proposti da Peter Cameron.
Entrambi struggenti, densi, particolari caricature di sentimenti tanto comuni quanto temibili, che a volte ci ostiniamo ad evitare, a nascondere a noi stessi. E alla fine si apre forse uno spiraglio? Non è assolutamente certo, l'unica cosa sicura è che la vita continua inesorabile.
Ne "La fine della mia vita a New York", il più breve dei due racconti, Theo è il protagonista indiscusso che incarna la figura dell'uomo che ha perso e non riesce a andare oltre il fallimento. A seguito di un incidente, elemento spartiacque tra il prima e il dopo, non solo perde il lavoro e la sua posizione sociale, ma si ritrova incapace di controllare le proprie crisi, i cosiddetti "crolli" psico-fisici di cui parla e che sperimenta con un tale malessere da far sentire il lettore coinvolto in prima persona. Da cosa deriva questo crollare? Dal rimpianto della vita passata, dall'incapacità di andare avanti e di ritrovarsi immobili e paralizzati? O dall'evidenza di ritrovarsi solo, nonostante Stefano e l'amore che professa ma incapace di colmare il vuoto da cui Theo si sente risucchiato? Sono tutte interpretazioni possibili. In questo caso "l'inconveniente" è proprio l'incidente stesso, che ha scoperchiato la fragilità di Theo e la sua inettitudine, intesa più come l'incapacità di farsi forza e di andare oltre, di riprendere in mano la propria vita e reinventarsi, preferendo piuttosto oscillare nel mare della disperazione tormentata.
«Ho perso» disse. «Cioè no, ho pianto. Ho perso lacrime. Le parole mi abbandonano. Interessante, però, come ci possiamo sentire abbandonati, dalle cose, delle persone. Da noi stessi. Tanti modi diversi di andare in pezzi».
In "Dopo l’inondazione", racconto decisamente più lungo e articolato, l'autore si concentra ancora una volta su una delle due figure che costituiscono le due coppie. In questo caso l'inconveniente che funge da pretesto per smuovere le coscienze e la vita dei personaggi è l'ospitare, controvoglia e con qualche titubanza, una famiglia della cittadina, la cui casa è stata distrutta a seguito di una inondazione. Proprio questa ospitalità scardina i normali e abitudinari ritmi della vita di coppia facendo prendere coscienza alla signora Bird di quanto la sua vita sia passata come sotto l'utilizzo di un farmaco anestetizzante vivendo i giorni che passavano in maniera inerte, tutti uguali e tutti scanditi dalla stessa routine. Sopratutto in questo racconto si evince la solitudine dei personaggi, l'incapacità di comunicare tra di loro e di condividere, il torpore in cui spesso si vive senza neanche accorgersene.
"Chissà, forse è sbagliato aspettarsi qualcosa alla mia età ma a me sembra normale. Magari anche solo svegliarsi la mattina dopo. Io questo me lo aspettavo? Sì. E se ci si aspetta questo, perché non aspettarsi anche qualcos’altro? Il semplice risveglio, il semplice fatto di essere svegli, vivi, non è abbastanza. Volevo una vita che avesse un senso, almeno per me”.
Due racconti incentrati sulla solitudine del singolo essere umano, sulla presenza-assenza, sull'incapacità di godere dei giorni che trascorrono, sul restare aggrappati alla vita ma in maniera inopportuna, come bloccati da una trappola che non gli permette di provare a cambiare direzione, orizzonte, di prendere l'iniziativa e di andare oltre. Ci sarà mai speranza di rinascere?
Cameron si dimostra uno scrittore abile nel tracciare sentimenti umani vividi e reali, lasciandoci a fine lettura diversi spunti di riflessione, trasmettendoci un senso di soffocata inerzia e di speranza oppressa, di smarrimento e vuoto esistenziale, nascosto dalla routine di una vita apparente.
Voi lo avete letto?
Che ne pensate?
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