Buongiorno carissimi lettori ^^ Oggi abbiamo pensato, con la scusa dell'arrivo di Halloween, di fare quattro chiacchiere su una delle scrittrici della letteratura gotica, tanto amata quanto, a mio parere, ancora poco conosciuta:
Shirley Jackson.
Mi sono imbattuto per la prima volta (adesso non ricordo neanche in che modo sia venuto a conoscenza del suo nome) in questa scrittrice un paio di anni fa, approcciandomi per la prima volta con il romanzo
"Abbiamo sempre vissuto nel castello". Che dire, fu un'esperienza positiva. Il libro ebbe la capacità di incollarmi alle pagine e di trascinarmi in un vortice di fine inquietudine e mistero che lasciava trapelare, in maniera appena accennata, qualcosa per poi farla scomparire quasi subito. Il pregio più alto del libro sono sicuramente le "atmosfere dark" che risalgono in alto come vapori tiepidi ma non fastidiosi, che immergono il lettore in un mondo di "oscuri presagi e misteri difficili da decifrare", un mondo di ombre, segreti, boschi aggrovigliati, ricordi, tormenti. Al di là della trama e dei personaggi (anche essi ben connotati sopratutto sul piano psicologico, impossibile non stabilire un legame quasi viscerale), quello che più mi è rimasto a distanza di tempo è il ricordo di una bellezza cupa. Mi ricordo soltanto che mi maledissi per non aver conosciuto prima questa scrittrice.
Dopo questa prima esperienza, sono sempre stato curioso di leggere altro, di scoprire cosa la sua mente avesse creato, se gli altri libri fossero alla stessa altezza del primo. Ma ancora non ho avuto l'occasione per farlo (anche se penso rimedierò a breve con un bell'ordine online). C 'è da dire inoltre che la curiosità è stata alimentata in questo periodo dalla visione della nuova serie tv Netflix "The haunting of Hill House" nonostante sappia che questa si discosti molto dal romanzo.
Anche qui, lasciatemi dire che è tanta roba. Magistrali le inquadrature, i dialoghi, l'interpretazione dei personaggi, la creazione di un intreccio ipnotico fino alla fine. Al di là della trama della serie tv, quello che probabilmente è stato ripreso molto dalla Jackson, è il dubbio del confine labile tra realtà, immaginazione, insanità mentale nonchè le inquiete e sottili atmosfere oscure che minano alla nostra lucidità e alla serenità della notte. Non voglio dilungarmi ancora, ma ve la consiglio.
Di certo, nella stesura dei propri romanzi, ogni scrittore lascia qualcosa di sè, spargendo frammenti della propria vita, della propria personalità, dei propri fallimenti, incubi, segreti, tormenti e speranze. La Jackson non ha infatti avuto una vita semplice. Basti pensare al rapporto conflittuale con la madre, al sentimento di oppressione che sentiva nel ruolo di moglie, alle dipendenze e agli episodi depressivi, all'agorafobia che la costrinse a sei mesi di reclusione in casa. Ma come si sa, spesso è dal dolore, dall'inadeguatezza, dalla paura e dai tormenti, che nascono i migliori scritti.
Quali sono le opere di Shirley? Potremmo creare cumuli di post prendendo in considerazione anche solo i suoi racconti. Ma ci concentreremo sopratutto su 3 suoi romanzi.
La protagonista, Elizabeth Richmond, ventitré anni, i tratti insieme eleganti e anonimi di una "vera gentildonna" della provincia americana, non sembra avere altri progetti che quello di aspettare "la propria dipartita stando il meno male possibile". Sotto un'ingannevole tranquillità, infatti, si agita in lei un disagio allarmante che si traduce in ricorrenti emicranie, vertigini e strane amnesie. Un disagio a lungo senza nome, finché un medico geniale e ostinato, il dottor Wright, dopo aver sottoposto la giovane a lunghe sedute ipnotiche, rivelerà la presenza di tre personalità sovrapposte e conflittuali: oltre alla stessa Elizabeth, l'amabile e socievole Beth e il suo negativo fotografico Betsy, "maschera crudele e deforme" che vorrebbe fagocitare e distruggere, con il suo "sorriso laido e grossolano" e i suoi modi sadici, insolenti e volgari, le altre due. È solo l'inizio di un inabissamento che assomiglierà, più a che un percorso clinico coronato da un successo terapeutico, a una discesa amorale e spietata nelle battaglie angosciose di un Io diviso, apparentemente impossibile da ricomporre: tanto che il dottor Wright sentirà scosse le fondamenta non solo della sua dottrina, ma della sua stessa visione del rapporto tra l'identità e la realtà.
"A Shirley Jackson, che non ha mai avuto bisogno di alzare la voce"; con questa dedica si apre "L'incendiaria" di Stephen King. È infatti con toni sommessi e deliziosamente sardonici che la diciottenne Mary Katherine ci racconta della grande casa avita dove vive reclusa, in uno stato di idilliaca felicità, con la bellissima sorella Constance e uno zio invalido. Non ci sarebbe nulla di strano nella loro passione per i minuti riti quotidiani, la buona cucina e il giardinaggio, se non fosse che tutti gli altri membri della famiglia Blackwood sono morti avvelenati sei anni prima, seduti a tavola, proprio lì in sala da pranzo. E quando in tanta armonia irrompe l'Estraneo (nella persona del cugino Charles), si snoda sotto i nostri occhi, con piccoli tocchi stregoneschi, una storia sottilmente perturbante che ha le ingannevoli caratteristiche formali di una commedia. Ma il malessere che ci invade via via, disorientandoci, ricorda molto da vicino i "brividi silenziosi e cumulativi" che - per usare le parole di un'ammiratrice, Dorothy Parker abbiamo provato leggendo "La lotteria". Perché anche in queste pagine Shirley Jackson si dimostra somma maestra del Male - un Male tanto più allarmante in quanto non circoscritto ai 'cattivi', ma come sotteso alla vita stessa, e riscattato solo da piccoli miracoli di follia.
«In questo autentico classico del genere gotico, Eleanor Vance, giovane e tormentata donna che non ricorda di essere mai stata felice in tutta la sua vita, viene assoldata dal sinistro professor Montague, aspirante cacciatore di fantasmi, per un soggiorno sperimentale a Hill House ... Giunta a destinazione, Eleanor si trova davanti una casa “che sembrava aver preso forma da sola, assemblandosi in quel suo possente schema indipendentemente dai muratori”; un edificio che “drizzava la testa imponente contro il cielo senza concessioni all'umanità”; una costruzione immune da ogni esorcismo: “un luogo non adatto agli uomini, né all'amore, né alla speranza”; una casa che si rifiuta di essere una dimora accogliente così come Eleanor vorrebbe sfuggire a un sistema di vita che le ha portato soltanto infelicità»
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