VIVA LA MORTE
Nell'ultima
città viva del mondo, esistono due sole realtà; la vita terrestre e
il paradiso. Nessun inferno, nessun purgatorio. La
metropolitana era un luogo che Diana odiava. Ovunque, persino nelle
gallerie, compariva la frase dei negromanti: "La morte è un
nuovo inizio" formata da led bianchi che a intermittenza
picchiavano le sue iridi. Anche la voce che annunciava le fermate
diceva: "Piazza degli impiccati. Prossima fermata, palazzo degli
angeli. Ricorda, la morte è un nuovo inizio!" ma ciò che più
Diana odiava erano le persone. Quando vide un ragazzo curvo e vestito
di stracci sporchi entrare dalle porte manuali e cigolanti, capì
immediatamente ciò che sarebbe accaduto. La donna sospirò e si
voltò dal lato opposto, specchiandosi nell'opaco vetro del treno.
Nel riflesso però vide anche quell'uomo dall'aspetto trasandato. «La
morte è un nuovo inizio...» stava balbettando. «Un nuovo...
inizio...» Diana chiuse le palpebre per non guardare. Quando
le riaprì, due minuti dopo, l'uomo aveva smesso di respirare. Nella
mano destra reggeva una siringa verde, la stessa nella locandina
appesa dietro tutti i sedili della metro. "La morte è verde
come la speranza" diceva, "per un nuovo inizio veloce e
indolore, compra il Marion dal tuo rivenditore di fiducia, prodotto
garantito dalla società dei negromanti" "Palazzo
degli angeli. Prossima fermata, via sette luglio. Ricorda, la morte è
un nuovo inizio" disse la voce automatica. Diana sospirò e si
passò una mano sul volto, stanca per le quattordici ore di lavoro al
bar. La metropolitana però non ripartì e una spia rossa si accese
in tutte le cabine. Allora la donna, rassegnata, aprì le porte
tirando con forza e uscì dal treno, guardandosi intorno. A due
carrozze dalla sua una delle porte era rimasta aperta. S'incamminò
lentamente verso di essa ma due passi dopo qualcuno la richiuse
dall'interno. Nel treno lampeggiarono le luci e si spensero le spie
rosse. «No!» urlò Diana colpendo il finestrino con un pugno. Il
treno sfiatò, tremò e ripartì, lasciandola da sola nella stazione
sotterranea. L'ultimo treno della notte l'aveva abbandonata sotto le
affollate strade del palazzo degli angeli, il luogo che lei amava
certamente meno di tutti gli altri. Diana
poteva essere definita in molti modi, ma di certo non bella. Spesso
le dicevano che era fredda, indifferente, asociale. Una volta però,
prima degli eventi del sette luglio, le persone la definivano allegra
e simpatica. La sua risata stramba sfociava in versi di maiale e
questo più di tutti divertiva le persone accanto a lei. Adesso però
Diana non aveva più motivi per ridere. Nemmeno uno. Il
trambusto si udiva già dall'ultimo sotterraneo che attraversava la
strada e che sfociava nella via degli angeli. Urla, musica a tutto
volume, auto, clacson, di tanto in tanto anche fuochi d'artificio.
Una volta all'esterno, sospirò pesantemente alla vista di tutte
quelle persone gioiose, abbassò la testa e riprese a camminare verso
casa. A piedi il suo appartamento era lontano un'ora dal centro in
cui adesso si trovava. Forse
per i suoi abiti fin troppo pesanti per quella calda estate, forse
perché era l'unica che non lodava la rinascita, tutti si voltavano a
guardarla quando Diana passava loro accanto. Tra commenti sarcastici
e risa, la donna avanzò spedita tra la calca di gente sperando che
nessuno di essi le desse fastidio. Quando passò accanto al grande
palazzo degli angeli però, non riuscì a non sollevare lo sguardo.
Un blocco di marmo immenso e candido, pieno di sculture di angeli e
costruito a cubi come una piramide di forma rettangolare, che ora
diventava più magra ora più spessa. Una struttura fatta di soli
spigoli sopra la quale i più impavidi ci si arrampicavano, perché
chi riusciva a raggiungere la sommità del palazzo poteva per legge
diventare uno dei prescelti, un Dio al di sopra dei negromanti. Era
quello il destino dell'umanità. Soffrire sulla terra, morire e
diventare un angelo o scalare la torre e conquistare lo status di
divino. I cubi del grande palazzo però si muovevano sempre, mossi da
macchinari la torre cambiava continuamente forma. I più impavidi
raggiungevano i duecento metri, la maggior parte invece cadeva prima
ancora dei cento. Nessuna disperazione però. Quando Diana vide il
corpo di un uomo precipitare nel piazzale, si voltò dal lato opposto
per non assistere allo schianto, mentre la folla impazziva
dall'entusiasmo. Anche chi moriva in quel modo poteva diventare un
angelo. I negromanti, avvolti da nere tuniche, sapevano sempre quando
qualcuno perdeva la vita. Apparivano come dal nulla e portavano via
il suo cadavere. Poi, qualche giorno dopo, i familiari o anche i soli
conoscenti della vittima, ricevevano un video nel quale questo li
salutava gioiosamente, rassicurandoli. Diana
conservava ancora il video di suo marito e dei suoi figli in una
piccola scheda di memoria che nascondeva nel suo orologio.
Antonio Polosa
Il giudizio complessivo della giuria:
"Trama originale e ben congegnata, scorrevolezza stilistica, tentativo riuscito di dare uno spessore psicologico alla protagonista nonostante il numero minimo di pagine. Tuttavia, un finale che forse poteva essere strutturato in maniera diversa."
Alla fine sono contenta abbia vinto Antonio, perché il suo racconto era tra i miei preferiti.
RispondiEliminaPeccato, appunto, per il finale che mi ha lasciata piuttosto scettica.