sabato 3 agosto 2013

Recensione: L'imprevedibile viaggio di Harold Fry


L'IMPREVEDIBILE VIAGGIO DI HAROLD FRY


AUTORE: Rachel Joyce
EDITORE: Sperling e kupfer
PAGINE: 310
PREZZO: 13,00

Quando viene a sapere che una sua vecchia amica sta morendo in un paesino ai confini con la Scozia, Harold Fry, tranquillo pensionato inglese, esce di casa per spedirle una lettera. E invece, arrivato alla prima buca, spinto da un impulso improvviso, comincia a camminare. Forse perché ha con la sua amica un antico debito di riconoscenza, forse perché ultimamente la vita non è stata gentile con lui e sua moglie Maureen, Harold cammina e cammina, incurante della stanchezza e delle scarpe troppo leggere. Ha deciso: finché lui camminerà, la sua amica continuerà a vivere. Inizia così per Harold un imprevedibile viaggio dal sud al nord dell'Inghilterra, ma anche dentro se stesso: mille chilometri di cammino e di incontri con tante persone, che Harold illuminerà con la sua saggezza inconsapevole e la forza del suo ottimismo. Harold Fry è un eroe senza essere super, un tipo alla Forrest Gump, un uomo speciale capace di insegnarci a credere che tutto è possibile, se lo vogliamo davvero. Toccante, commovente, ma anche venato da un'irresistibile ironia, L'imprevedibile viaggio di Harold Fry di Rachel Joyce è un romanzo semplicemente indimenticabile: la più bella celebrazione dell'amicizia, dell'amore e dei sogni che vi capiterà di leggere per molto, molto tempo.



Il viaggio, inteso in tutte le sue forme e sfaccettature,  è uno dei temi che da sempre ha trovato spazio all’interno di diverse opere letterarie: dai grandi classici della letteratura greca e latina sino ai giorni nostri, il viaggio è divenuto anche simbolo di cambiamento, esperienza, crescita spirituale e interiore. All’interno dell’Odissea, Ulisse percorre un viaggio avventuroso, affrontando intrighi e pericoli, rischiando più volte la morte, per poter ritornare,dopo la stancante e duratura guerra di Troia, nella sua amata patria Itaca e dalla moglie Penelope; nel romanzo di Rachel Joyce, Harold Fry percorre, con addosso soltanto un paio di scarpe da vela, migliaia di chilometri, attraversando tutta l’Inghilterra da sud a nord, per raggiungere Queenie, vecchia amica morente a causa del cancro. Entrambi i viaggi sono alimentati dal desiderio di poter riabbracciare le persone più care, rivedere i loro volti dopo anni di silenzio e assenza ma soltanto questa analogia è possibile cogliere con il romanzo epico.
Harold Fry non ha nulla di eroico: è un sessantenne
andato in pensione, che trascorre le sue giornate sedendosi sulla poltrona o falciando il prato, il cui corpo presenta ormai i segni del tempo; è un uomo comune che si è ormai abituato alla daily routine, tutte le giornate trascorrono uguali e con lo stesso ritmo, ormai non c’è più nulla di diverso, vive per inerzia, non per volontà, non perché davvero vi crede. Ma ecco un evento all’apparenza banale che fa crollare il castello di carta su cui poggiava la sua esistenza: un giorno riceve una lettera da una vecchia amica, che il tempo aveva fatto lui dimenticare, dove annuncia il suo stato terminale presso una casa di cura a Berwick. Cosa può fare a questo punto un uomo stanco e vecchio? Decide di scrivere una lettera con poche parole e di imbucarla alla prima cassetta della posta sulla strada non portando nulla con sé, né il cellulare, né le chiavi di casa dovendo mancare per poco tempo, ma qualcosa in lui, una volta iniziato il cammino, si smuove: decide di camminare sino alla cassetta successiva e ancora e ancora finché il suo non diviene un imprevedibile viaggio fino a Berwick ( devo ammettere che il titolo calza a pennello, non avrei trovato di meglio).

“Per la prima volta in vita sua fu una delusione vedere la cassetta delle lettere apparire troppo presto. Harold provò ad attraversare la strada per evitarla, ma era lì, che lo aspettava all’angolo di Fossebridge Road. Avvicinò la lettera per Queenie alla feritoia, poi si bloccò.”

Da questo momento in poi Harold inizia nuovamente a vivere, a pensare, a sentire e sentirsi, seguire il filo dei suoi pensieri e dei suoi sentimenti e rimuginare su  un passato doloroso che non ha mai accettato: camminando completamente circondato dalla natura egli si tuffa a capofitto dentro se stesso, nei meandri della sua anima, esplorando anni passati e ricordi cancellati, lasciando spazio anche a riflessioni dal carattere più filosofico che tuttavia non vengono analizzate in maniera eccessiva o dettagliata per non mettere in pericolo la leggerezza del libro. La forza del romanzo sono proprio le riflessioni del protagonista, una sorta di monologo interiore dall’accesa valenza umana.
“Non pensava a Queenie e non pensava a Maureen. Non vedeva neppure le siepi, né l’orizzonte né le automobili che passavano. Era diventato un tutt’uno con le parole: Tu non morirai”

Il suo è un viaggio non soltanto di riscoperta interiore ma anche di conoscenza: diverse sono le persone che incontrerà lungo il cammino, le storie che farà proprie, i volti che memorizzerà nella sua testa.

“Harold ripensò alle persone che aveva incrociato lungo il cammino. Le loro storie lo avevano stupito e commosso, nessuno l’aveva lasciato indifferente.”
Ma purtroppo alla fine del libro resta molto poco di tutti questi personaggi: vengono appena presentati, sembra quasi che alcuni capitoli siano stati scritti solo per aggiungere qualche altra pagina al romanzo poiché non sono stati granché determinanti per il proseguimento del viaggio e per l’intreccio generale. Sarebbe stato meglio secondo me approfondire alcune storie, penetrare più a fondo nella pelle di alcuni personaggi piuttosto che restare più volte in superficie. Per fare qualche esempio, fondamentale è stato l’incontro con la ragazza della stazione di servizio perché è proprio da lì che si delinea lo scopo del protagonista (Harold fiducioso decide infatti che fin quando lui camminerà anche la sua amica continuerà a vivere) o il dialogo con Martina, l’infermiera di origini straniere, che mette in risalto aspetti della vita di Harold nonché la difficoltà per gli stranieri di trovare un’occupazione: completamente inutili invece sono stati i capitoli dedicati all’incontro con “la donna col cibo” o “Il signore dai capelli d’argento”. Meno chiacchiere e più sostanza insomma. Un altro punto-cardine del racconto è il nucleo famigliare visto quasi come una trappola sia da Harold sia dalla moglie Maureen: si profila sin dall’inizio un amore reso freddo da qualcosa successa tanti anni prima che finalmente verso la fine del romanzo verrà fuori lasciando un po’ di soppiatto i lettori. È  una storia triste, ma fatta anche di rabbia e soprattutto di incomprensione,  un muro invisibile eretto dal dolore passato li separa fisicamente e mentalmente, più i km aumentano più la distanza cresce fin quando si giunge a un punto di rottura dove tutto cambia: è un viaggio anche di redenzione e di perdono. A più di metà del romanzo la notizia del pellegrinaggio si diffonde per tutta la nazione e diversi iniziano a unirsi al viaggio senza capirne veramente il senso tanto che si evidenza una netta contrapposizione tra Harold, che ha uno scopo e che prosegue per “fede” e il resto del gruppo. Da qui in poi è tutta una corsa continua: nel giro di poche pagine il viaggio rimanente viene liquidato per raggiungere a destinazione celermente ma le ultime pagine non sono state molto all’altezza delle mie aspettative per quanto riguarda l’incontro tra Harold e Queenie ( sembra quasi che alla fine tutto questo viaggio si riduca a niente). Nonostante i difetti elencati sopra, è un libro leggero e di piacevole lettura durante queste afose giornate estive: quello che più mi è piaciuto particolarmente (oltre alla storia di base abbastanza originale, allo stile leggero e scorrevole, ad alcuni incontri e ai temi che vengono trattati) è la venatura esistenziale che caratterizza il personaggio, uomo normale, uomo come noi.  Il libro si conclude con la fine del viaggio e niente sarà più lo stesso: ogni viaggio ci cambia. 


VOTO: 


Voi lo avete letto? Che ne pensate?




2 commenti:

  1. Bellissima recensione! sono davvero curiosa di leggerlo :D

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  2. Un libro senza troppe pretese. Molto leggero. A volte forse troppo. Un inizio che lascia presagire una lettura coinvolgente. Purtroppo, subito dopo l'inizio del viaggio di Harold, la narrazione si perde in un lungo susseguirsi di descrizioni (piuttosto piatte e abborracciate) di luoghi, persone e paesaggi che farebbero venir voglia di saltare diversi capitoli per arrivare dritti alla conclusione. Per fortuna il racconto riacquista un po' di verve proprio verso la fine. Da aggiungere inoltre che la figura del protagonista 'anti-eroe' nulla aggiunge a questo libro che rimane intrappolato in un perenne tentativo di voler spiccare il volo, senza però realmente riuscirci.
    MR

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