venerdì 8 novembre 2013

Recensione: Hunger Games

Salve a tutti lettori e buon fine settimana. Oggi vi propongo la recensione del primo volume di Hunger Games che finalmente, dopo anni e ingiurie giustificate nei miei confronti perché non era ancora nella mia libreria, ho letto in questi giorni preparando per le prossime serate il film che non vedo l'ora di vedere.

HUNGER GAMES
Mondadori | 370 pp. | €13,00
Quando Katniss urla "Mi offro volontaria, mi offro volontaria come tributo!" sa di aver appena firmato la sua condanna a morte. È il giorno dell'estrazione dei partecipanti agli Hunger Games, un reality show organizzato ogni anno da Capitol City con una sola regola: uccidi o muori. Ognuno dei Distretti deve sorteggiare un ragazzo e una ragazza tra i 12 e i 18 anni che verrà gettato nell'Arena a combattere fino alla morte. Ne sopravvive uno solo, il più bravo, il più forte, ma anche quello che si conquista il pubblico, gli sponsor, l'audience. Katniss appartiene al Distretto 12, quello dei minatori, quello che gli Hunger Games li ha vinti solo due volte in 73 edizioni, e sa di aver poche possibilità di farcela. Ma si è offerta al posto di sua sorella minore e farà di tutto per tornare da lei. Da quando è nata ha lottato per vivere e lo farà anche questa volta. Nella sua squadra c'è anche Peeta, un ragazzo gentile che però non ha la stoffa per farcela. Lui è determinato a mantenere integri i propri sentimenti e dichiara davanti alle telecamere di essere innamorato di Katniss. Ma negli Hunger Games non esistono gli amici, non esistono gli affetti, non c'è spazio per l'amore. Bisogna saper scegliere e, soprattutto, per vincere bisogna saper perdere, rinunciare a tutto ciò che ti rende Uomo.

Diversi sono i libri che ultimamente sono proiettati alla creazione di un mondo distopico come sfondo agli eventi che si susseguono e ai personaggi che, generalmente, combattono contro il potere ( a volte simboleggiato da una forza del male) per la libertà e la cessazione di ogni tipo di sopruso. Il mondo distopico che Suzanne ci presenta ha le caratteristiche essenziali di quel prototipo creato da Orwell e utilizzato come stampo da alcuni contemporanei: la popolazione è soggiogata sia fisicamente che moralmente, l'ignoranza è un'arma che viene utilizzata per far dimenticare la vera storia e imporre quella che fa più comodo ai governatori, le condizioni sanitarie e alimentari sono misere e degradanti, nessuno ha la forza di ribellarsi perchè sa di mettersi nei guai o perchè è ormai pervaso da un senso di rassegnazione, quasi di accettazione della vita che Capitol City detta per loro, si vive continuamente con la paura. Paura di morire di fame, di essere ucciso, di scoppiare in miniera, di essere scovato al di là del proprio distretto,  di essere sorteggiato per gli Hunger Games annuali.
Questo è l'elemento che più mi ha colpito per l'originalità e l'inventiva dell'autrice. Chi mai si sognerebbe di inventare un mondo in cui si organizzano annualmente, per ricordare alla popolazione la loro giusta sottomissione a Capitol City, dei veri e propri giochi di caccia in cui l'uomo è contemporaneamente cacciatore e preda, in cui per sopravvivere bisogna essere disposti a uccidere chiunque, con qualsiasi arma, con crudeltà e tenacia sino alla cessazione dell'ultimo respiro? Chi avrebbe mai avuto l'idea di creare questa sorta di reality show da seguire in diretta, mostrando le difficoltà dei tributi ma sopratutto tutte le azioni truci, e facendo divertire e scommettere gli abitanti tra la morte di un tributo e una battaglia all'ultimo sangue?
E tutto viene presentato con un tono pacato e indifferente, come se fosse normale e giusto, come se fosse una festa che inciti stilisti a creare capi d'abbigliamento degni di stima, squadre a ricercare sponsor, tributi a esercitarsi e uccidere. Questa è la cessazione di umanità che tuttavia continua a pervadere parte della popolazione tra cui Katniss e Peeta, i tributi sorteggiati nel distretto 12. Come funzionano dunque questi giochi di caccia? Le regole sono abbastanza semplici. Come punizione per la rivolta (durante la quale il tredicesimo distretto fu annientato mentre gli altri dodici sconfitti) ogni anno i dodici distretti devono fornire due partecipanti, un ragazzo e una ragazza,(sembra quasi di ricordare l'usanza del re di Creta Minosse che ogni anno richiedeva un tributo di sette fanciulli e sette fanciulle da far divorare al Minotauro)  per un totale di ventiquattro tributi che dovranno fronteggiarsi in un'arena finchè non rimane soltanto un singolo vincitore.

"Ma il vero divertimento degli Hunger Games è guardare i tributi uccidersi l'un l'altro. Di tanto in tanto un tributo lo uccidono, giusto per ricordare ai giocatori che possono farlo. Ma per la maggior parte del tempo ci manovrano affinché ci affrontiamo faccia a faccia"

Così dopo essere stati sorteggiati, dopo l'addestramento e lo studio di strategie e tattiche, dopo cerimonie ampollose e esagerate che sembrano dimenticare quale sia il vero fine degli Hunger Games, si comincia. Prendere il necessario, fuggire dalla Cornucopia, cercare un riparo immediato, studiare i metodi migliori per sconfiggere gli altri e vincere. Katniss appare inizialmente insicura, non crede di essere in grado di vincere, teme i tributi favoriti dalla loro massa muscolare e dal loro addestramento sin da bambini, ha soltanto uno zaino con sè e manca l'arma che lei prediligeva: l'arco. Allo stesso modo Peeta appare insicuro e fragile, diventa pallido nel momento in cui viene sorteggiato ma poi piano piano sembra farsi forza da solo, per la sopravvivenza o forse per qualcosa di più: lui infatti, come Katniss, non vuole essere cambiato all'interno dell'arena, non vuole diventare un mostro, macchiarsi la coscienza uccidendo gli altri anche se questo è necessario, preferirebbe morire. 
"Io non voglio che mi cambino. Che mi trasformino in quello che non sono. Non voglio essere solo un'altra pedina del loro gioco. Vorrei solo trovare un modo per dimostrargli che non sono una loro proprietà. Se proprio devo morire, voglio rimanere me stesso."   A questo punto lo sfondo è l'arena, i personaggi sono pedine seguite dalla popolazione e dagli Strateghi, si creano delle piccole alleanze provvisorie, si cerca di stanare i nemici e ucciderli. Adrenalina e paura, coraggio e desiderio di vincere animano le pagine, ma a un certo punto il ritmo si fa meno incalzante e più pacato mostrando quello che, a mio parere, è un punto debole del romanzo. La seconda parte infatti si concentra maggiormente sullo stato d'animo, sui pensieri, sulle sensazioni e emozioni che aggrovigliano la protagonista tra la ricerca di viveri e il riposo, tra caccia a conigli e ricerca di erbe curative: poche sono le uccisioni cui la protagonista farà parte, si ritroverà a uno stadio finale del gioco senza aver quasi ucciso nessuno e di conseguenza, l'adrenalina iniziale per il lettore va calando, vorrebbe qualche caccia e inseguimento con tanto di scontro finale, qualche colpo di scena, qualche maggiore difficoltà che spinga al combattimento corpo a corpo. Che hunger games sono altrimenti se gran parte delle uccisioni non vengono neanche considerate? Probabilmente l'autrice ha voluto lasciare maggior spazio alla parte emotiva e introspettiva ma non avrebbe dovuto dimenticare in che contesto e in che parte della storia si trovava. Ugualmente troppo lunghe sono le scene tra i due protagonisti nel momento in cui viene annunciato che quest'anno i vincitori potranno essere due, se appartenenti allo stesso distretto: sono scene sicuramente funzionali sia alla conclusione del libro che, penso, alla prosecuzione della storia negli altri due capitoli.. Ma insomma, un po' più di azione non sarebbe stata disdegnata. 
La conclusione sembra presagire qualche difficoltà nel timore di essere odiati dagli Strateghi e da tutta Capitol City a causa dello stratagemma finale, ma alla fine non accade nulla, si ritorna a casa e si chiude il libro soltanto con un po' di amaro in bocca dal punto di vista sentimentale.
Nonostante queste pecche, il libro mi è piaciuto per l'idea di fondo, qualche tematica e lo svolgimento degli eventi (ma ribadisco che un po' più di adrenalina non sarebbe di certo guastata).


VOTO:



Voi lo avete letto? Che ne pensate?







2 commenti:

  1. Io non ho amato particolarmente questa saga, soprattutto l'ultimo libro, ma non sono certo qui a farti spoiler ;)

    L'idea di base è molto bella ed originale ma trovo che dopo la metà del secondo libro la Collins non abbia saputo gestire troppo bene la storia e gli avvenimenti.
    E poi, sempre secondo il mio modesto parere, una trilogia scritta in prima persona e pure al presente è abbastanza antipatica da leggere. La prima persona, soprattutto se al presente, la trovo molto più appropriata per una storia breve; o comunque un libro auto-conclusivo.
    A parte Peeta, non mi è piaciuta granché, ma ovviamente è un mio gusto.

    Comunque. Quindi i risultati dei giveaway sono usciti? Dove li trovo?

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  2. Bello bello bello bello!!
    ps.: quoto Little, quindi i nomi dei vincitori sono stati estratti?

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