giovedì 20 ottobre 2016

C'era una volta il teatro dell'assurdo

C'era una volta il teatro. C'è ancora adesso. Ma, e sembra abbastanza chiaro, oramai ci troviamo in una fase di stallo dove manca inventiva e immaginazione: sbaglio o vengono riproposte opere esemplari (per fortuna per noi) o operette senza nulla di particolare ( e a volte molto superficiali)? Non dico che non ci siano spettacoli all'altezza delle aspettative e dei desideri dello spettatore, bensì che questa fase del teatro di certo non rimarrà nei libri di storia. Diversamente potremmo dire di molte correnti del passato che hanno lasciato un segno scalfendo per sempre il panorama teatrale e l'animo di molti uomini. Un esempio? Il teatro dell'assurdo. 
Teatro dell'assurdo è la denominazione di un particolare tipo di opere scritte da alcuni drammaturghi, soprattutto europei, sul finire degli anni '40, '50 e '60. Con lo stesso termine si identifica anche tutto lo stile teatrale nato dall'evoluzione dei loro lavori. Per Esslin il lavoro di questi autori consiste in una articolazione artistica del concetto filosofico di assurdità dell'esistenza, elaborato dagli autori dell'Esistenzialismo. Le caratteristiche peculiari del teatro dell'assurdo sono il deliberato abbandono di un costrutto drammaturgico razionale e il rifiuto del linguaggio logico-consequenziale. La struttura tradizionale (trama di eventi, concatenazione, scioglimento) viene rigettata e sostituita da un'alogica successione di eventi, legati fra loro da una labile ed effimera traccia (uno stato d'animo o un'emozione), apparentemente senza alcun significato. Il teatro dell'assurdo si caratterizza per dialoghi senza senso, ripetitivi e serrati, capaci di suscitare a volte il sorriso nonostante il senso tragico del dramma che stanno vivendo i personaggi.

Risultati immaginiDi certo, l’autore più celebre è Samuel Beckett con l’opera “Aspettando Godot” che gira tutta intorno alla stasi, alla mancanza di azione, all’incomunicabilità, al paradosso. La trama è assolutamente elementare: due uomini, Vladimir e Estragon, aspettano l’arrivo di un terzo, di nome Godot, che però non arriverà mai. Non sappiamo chi siano questi due uomini, dove si trovino, chi sia questo Godot e perché lo stiano aspettando. Le stesse didascalie sono assolutamente vaghe: “Una strada di campagna. Un albero. Sera”. Mentre Estragon e Vladimir aspettano entrano in scena altri tre personaggi: Pozzo col suo schiavo Lucky e un ragazzo, il quale comunica che Godot non riuscirà ad arrivare ma verrà senz’altro il giorno successivo. Il secondo atto si apre sulla stessa scena (“Il giorno dopo. Stessa ora. Stesso posto”, ci informa Beckett). Tutto si ripete quasi allo stesso modo salvo che ora Pozzo è cieco e Lucky è muto e Pozzo non ricorda di aver incontrato Vladimir ed Estragon il giorno prima. Anche il ragazzo, che riappare per comunicare ancora una volta che Godot non riesce a venire ma verrà senz’altro l’indomani, sostiene di non aver mai fatto quella stessa azione prima e di non aver mai incontrato Vladimir ed Estragon. 

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Il particolare lessico si riassume nei silenzi e nelle lunghe pause che intercorrono tra un dialogo e l’altro; dialoghi peraltro, molto brevi, ma pregni di incisività. Il silenzio e le pause sono per Beckett il chiaro esempio dell’incapacità dell’uomo di comunicare con i suoi simili. La scenografia è molto spoglia: un albero un lampione sono sufficienti per offrire la pienezza delle parole e centrare l’attenzione su di esse e sulla loro irrealtà. I personaggi sono persone sospese nel tempo, incapaci di muoversi e di affrontare la vita basata sull’attesa. Il destino, altro elemento da non disconoscere, è qui disegnato come punto interrogativo, legato all’attesa di Godot, che forse cambierà la vita dei due protagonisti.
Subentra improvviso, ma inevitabile nel contempo, l’elemento della delusione, tanto da far pensare i due protagonisti al “suicidio”, come atto estremo di una snervante inutilità dell’esistenza.
Filosofia della fragilità, della precarietà vitale che può avvolgere  tutti indistintamente, una realtà schiacciante a cui far fronte, poiché Godot non verrà. 



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