La "fuitina" è un termine desunto dal contesto siciliano volto a indicare
una "piccola fuga" o meglio l'allontanamento di una coppia
di giovani aspiranti coniugi dai rispettivi nuclei famigliari
per far presumere, o addirittura rendere esplicita,
l'avvenuta consumazione di un atto sessuale completo,
in modo da porre le famiglie di fronte al "fatto compiuto", inducendole a concedere il consenso per il matrimonio, le cosiddette
nozze riparatrici volte a conservare l'onore della famiglia, in
particolare quella della donna, che altrimenti sarebbe profondamente
macchiato dalla mancanza di
raziocinio della figlia costretta a rimanere "zitella" a
vita perché ormai non più vergine.
Franca Viola è una donna alcamese, nata da una famiglia di contadini nel 1947, che all'età di 15 anni si fidanzò con Filippo Melodia (nipote del mafioso locale Vincenzo Rimi) che in quello stesso periodo venne arrestato per associazione mafiosa e furto inducendo Bernardo, il padre di Franca, a rompere il fidanzamento. Così facendo, Bernardo attirò su di se una serie di minacce da parte della famiglia mafiosa del ragazzo insieme alla distruzione del loro vigneto e del casolare.
“Io non sono proprietà di nessuno, nessuno può costringermi ad amare una persona che non rispetto, l’onore lo perde chi le fa certe cose, non chi le subisce”
Il 26 dicembre 1965, all'età di 17 anni, Franca Viola fu rapita (assieme al fratellino Mariano di 8 anni, subito rilasciato) da Melodia, che agì con l'aiuto di dodici amici, con i quali devastò l'abitazione della giovane ed aggredì la madre che tentava di difendere la figlia. La ragazza fu violentata e segregata per giorni in un casolare al di fuori del paese e poi in casa della sorella di Melodia. Il 2 gennaio 1966 la polizia rintracciò il luogo dove Franca Viola era segregata e la liberò, arrestando Melodia e i suoi complici.
“Rimasi digiuna per giorni e giorni. Lui mi dileggiava e provocava. Dopo una settimana abusò di me. Ero a letto, in stato di semi-incoscienza”
Secondo la morale del tempo, una ragazza uscita da una simile vicenda, ossia non più vergine, avrebbe dovuto necessariamente sposare il suo rapitore, salvando l'onore suo e quello familiare. In caso contrario sarebbe rimasta zitella, additata come "donna svergognata". All'epoca, la legislazione italiana, in particolare l'articolo 544 del codice penale, ammetteva la possibilità di estinguere il reato di violenza carnale, anche ai danni di minorenne, qualora fosse stato seguito dal cosiddetto "matrimonio riparatore", contratto tra l'accusato e la persona offesa: la violenza sessuale era considerato oltraggio alla morale e non reato contro la persona. L’attenzione di tutta la stampa locale e nazionale è altissima, sia perché è la prima volta che una donna sceglie di dichiararsi “svergognata” e sfidare le arcaiche regole di un “onore” presunto e patriarcale, sia perché in questa vicenda si ravvisa l’occasione di intaccare, almeno in parte, il potere della mafia.
«Non fu un gesto coraggioso. Ho fatto solo quello che mi sentivo di fare, come farebbe oggi una qualsiasi ragazza: ho ascoltato il mio cuore, il resto è venuto da sé. Oggi consiglio ai giovani di seguire i loro sentimenti; non è difficile. Io l’ho fatto in una Sicilia molto diversa; loro possono farlo guardando semplicemente nei loro cuori».
Il prezzo da pagare era altissimo: minacce, ricatti, l’opinione pubblica ostile, insomma una clausura stretta, con polizia fuori da casa giorno e notte e nessuna possibilità di lavoro per il padre. Ma la chiarezza della posizione di Franca risuonava come un monito a una società in movimento: Franca Viola diventerà in Sicilia un simbolo di libertà e dignità per tutte quelle donne che dopo di lei avrebbero subito le medesime violenze e ricevettero, dal suo esempio, il coraggio di "dire no" e rifiutare il matrimonio riparatore.
Oggi Franca vive ancora ad Alcamo.
Il regista Damiano Damiani , nel 1970, realizzò il film "La moglie più bella", ispirato alla vicenda e interpretato da un'esordiente e giovanissima Ornella Muti.
Franca Viola è una donna alcamese, nata da una famiglia di contadini nel 1947, che all'età di 15 anni si fidanzò con Filippo Melodia (nipote del mafioso locale Vincenzo Rimi) che in quello stesso periodo venne arrestato per associazione mafiosa e furto inducendo Bernardo, il padre di Franca, a rompere il fidanzamento. Così facendo, Bernardo attirò su di se una serie di minacce da parte della famiglia mafiosa del ragazzo insieme alla distruzione del loro vigneto e del casolare.
“Io non sono proprietà di nessuno, nessuno può costringermi ad amare una persona che non rispetto, l’onore lo perde chi le fa certe cose, non chi le subisce”
Il 26 dicembre 1965, all'età di 17 anni, Franca Viola fu rapita (assieme al fratellino Mariano di 8 anni, subito rilasciato) da Melodia, che agì con l'aiuto di dodici amici, con i quali devastò l'abitazione della giovane ed aggredì la madre che tentava di difendere la figlia. La ragazza fu violentata e segregata per giorni in un casolare al di fuori del paese e poi in casa della sorella di Melodia. Il 2 gennaio 1966 la polizia rintracciò il luogo dove Franca Viola era segregata e la liberò, arrestando Melodia e i suoi complici.
“Rimasi digiuna per giorni e giorni. Lui mi dileggiava e provocava. Dopo una settimana abusò di me. Ero a letto, in stato di semi-incoscienza”
Secondo la morale del tempo, una ragazza uscita da una simile vicenda, ossia non più vergine, avrebbe dovuto necessariamente sposare il suo rapitore, salvando l'onore suo e quello familiare. In caso contrario sarebbe rimasta zitella, additata come "donna svergognata". All'epoca, la legislazione italiana, in particolare l'articolo 544 del codice penale, ammetteva la possibilità di estinguere il reato di violenza carnale, anche ai danni di minorenne, qualora fosse stato seguito dal cosiddetto "matrimonio riparatore", contratto tra l'accusato e la persona offesa: la violenza sessuale era considerato oltraggio alla morale e non reato contro la persona. L’attenzione di tutta la stampa locale e nazionale è altissima, sia perché è la prima volta che una donna sceglie di dichiararsi “svergognata” e sfidare le arcaiche regole di un “onore” presunto e patriarcale, sia perché in questa vicenda si ravvisa l’occasione di intaccare, almeno in parte, il potere della mafia.
«Non fu un gesto coraggioso. Ho fatto solo quello che mi sentivo di fare, come farebbe oggi una qualsiasi ragazza: ho ascoltato il mio cuore, il resto è venuto da sé. Oggi consiglio ai giovani di seguire i loro sentimenti; non è difficile. Io l’ho fatto in una Sicilia molto diversa; loro possono farlo guardando semplicemente nei loro cuori».
Il prezzo da pagare era altissimo: minacce, ricatti, l’opinione pubblica ostile, insomma una clausura stretta, con polizia fuori da casa giorno e notte e nessuna possibilità di lavoro per il padre. Ma la chiarezza della posizione di Franca risuonava come un monito a una società in movimento: Franca Viola diventerà in Sicilia un simbolo di libertà e dignità per tutte quelle donne che dopo di lei avrebbero subito le medesime violenze e ricevettero, dal suo esempio, il coraggio di "dire no" e rifiutare il matrimonio riparatore.
Oggi Franca vive ancora ad Alcamo.
Il regista Damiano Damiani , nel 1970, realizzò il film "La moglie più bella", ispirato alla vicenda e interpretato da un'esordiente e giovanissima Ornella Muti.
Concludiamo presentandovi un libro che narra il coraggio di questa grande donna.
Un libro che dà memoria ad una vicenda apparentemente dimenticata dal tempo, ma che ha fatto la storia del costume dell’Italia portando alla modifica del Codice Penale sui temi del delitto d’onore e del matrimonio riparatore (il famigerato Codice Rocco): Niente ci fu di Beatrice Monroy edito dalla meridiana nella collana passaggi (pp. 112, Euro 13,50) ricostruisce la storia, o meglio “il fattaccio” di Franca Viola, avvenuto ad Alcamo nel 1965.“Niente ci fu” recita il titolo del volume. “Niente ci fu” era l’espressione con cui si liquidavano alcune vicende dolorose, da dimenticare. Invece no, la storia di Franca Viola ci fu. E grazie a lei è cominciato il cammino delle donne per il riconoscimento di dignità negate all’interno della ‘famiglia’. Beatrice Monroy ricostruisce gli eventi con uno stile narrativo coinvolgente, all’interno di una Sicilia che guarda al ‘Continente’ (l’Italia) e in un ambiente dove il termine famiglia allude a molto di più, in un contesto dove il silenzio è complice ma talvolta esprime anche grande dignità.
Franca
Viola è uscita di scena, avvolta nel silenzio. “Dove sono finite
le sue parole? – chiede l’autrice – Ho cercato di dare voce a
lei e a tante altre donne vittime
di violenza,
diventate ormai testimoni mute. La violenza sulle donne assume
connotati specifici perché condizionata dallapresenza
della mafia,
il cui primo comandamento è l’omertà”.
Perchè, conclude Monroy, “non è una circostanza fortuita quella
che vede fra i protagonisti della vicenda uomini
di famiglie mafiose.
Come andarono veramente le cose? Non è un caso che su questo sia
calata una cortina di silenzio”.
Nessun commento:
Posta un commento