Mi fa piacere presentare ogni tanto un buon libro scritto da autori italiani...
Il libro di cui voglio parlarvi è...
IL SEGNO DELL'UNTORE
La prima indagine del notaio criminale Niccolò Taverna
Autore: Franco Forte
Editore: Mondadori
Collana: Omnibus Mondadori
Prezzo: 15,00
Pagine: 358
Data uscita: 17 Gennaio 2012
TRAMA:
Milano, 1576. Nel drammatico giorno della morte della
moglie, consumata atrocemente dalla peste, il notaio criminale Niccolò Taverna
viene convocato dal Capitano di Giustizia per risolvere un difficile caso di
omicidio. La vittima è Bernardino da Savona, commissario della Santa
Inquisizione che aveva il compito di far valere le decisioni della Corona di
Spagna sul suolo del Ducato di Milano. Ma non solo: Bernardino aveva ricevuto
l'incarico di occuparsi degli ordini ecclesiastici "difficili", come
gli Umiliati, messi al bando dall'arcivescovo Carlo Borromeo, mansione che ha
reso ancora più difficili le relazioni tra potere secolare (Corona di Spagna) e
potere temporale (Chiesa di Milano). Contemporaneamente, Niccolò Taverna deve
anche riuscire a individuare il responsabile del furto del Candelabro del
Cellini trafugato dal Duomo di Milano. Ma ben presto si accorge che la ricerca
del Candelabro si rivela una pista sbagliata perché un altro oggetto, ben più prezioso,
è stato sottratto: la reliquia del Sacro Chiodo della Croce di Cristo. In una
Milano piagata dalla peste e su cui si allunga l'ombra della Santa
Inquisizione, il notaio criminale Niccolò Taverna deve sfruttare tutte le sue
straordinarie capacità investigative per venire a capo di questi due intricati
casi.
IL LIBRO:
Milano, anno del Signore 1576. Sono giorni oscuri quelli che
sommergono la capitale del Ducato. La peste bubbonica è al suo culmine, il
Lazzaretto Maggiore rigurgita di ammalati, i monatti stentano a raccogliere i
morti. L’aria è un miasma opaco per il fumo dei roghi accesi ovunque.
In questo scenario spettrale il notaio criminale Niccolò
Taverna viene chiamato a risolvere due casi: un furto sacrilego in Duomo e un
brutale omicidio. Chi ha assassinato il Commissario Inquisitoriale Bernardino
da Savona? E perché? E chi ha rubato il candelabro di Benvenuto Cellini dal
Duomo?
La figura del notaio criminale che si muove nel suggestivo
scenario della Milano del 1500, dominata dalla Corona di Spagna e minacciata
dalle continue epidemie di peste, è alla base del romanzo “Il segno dell’untore” di Franco Forte (Mondadori, in libreria dal
17 gennaio 2012), che ha per protagonista il giovane magistrato Niccolò Taverna
nella capitale del Ducato nel 1576.
Investigatore astuto, intelligente, grande osservatore di
particolari che sfuggono a inquirenti e criminali, Niccolò Taverna si trova a
dover risolvere difficili casi di omicidio in un clima di tensione tra il
Governatore della città, il potere clericale, rappresentato dalla figura
dell’arcivescovo Carlo Borromeo, e la Santa Inquisizione spagnola, che vede
nell’arcigna figura di Guaraldo Giussani il suo nume tutelare.
Nel primo romanzo delle indagini di Niccolò Taverna, questo
straordinario personaggio che sfrutta tecniche investigative a volte
sorprendentemente moderne, per quanto perfettamente calate nel contesto storico
in cui si muove (e ben documentate dall’autore) si muove in un mondo
ricostruito alla perfezione, facendo compiere al lettore un vero e proprio
salto all’indietro nel tempo di quasi 500 anni, in una Milano in cui, sullo
sfondo del Duomo ancora in costruzione, delle colonne di fumo che si
sollevavano dai fopponi, le fosse
comuni in cui si bruciavano i morti di peste, dei conflitti di potere tra Stato
e Chiesa, la criminalità dilaga incontrastata e stupri, furti e omicidi sono
pratiche all’ordine del giorno.
Quella che Niccolò deve seguire è un’indagine incalzante,
con lo spettro incombente della Santa Inquisizione che incombe ovunque, per
risolvere un caso di omicidio che potrebbe dimostrarsi molto pericoloso. Lo stesso
arcivescovo Carlo Borromeo pare implicato, così come le più alte cariche della
Corona di Spagna e della Santa Sede. Per non parlare dell’ordine degli
Umiliati, che il Borromeo ha cancellato e che già una volta ha cercato di
uccidere l’arcivescovo di Milano.
Sfruttando le sue straordinarie capacità investigative e le
tecniche d’indagine dell’epoca, il Notaio Criminale Niccolò Taverna cerca di
venire a capo di questi due intricati casi, che rischiano di compromettere la
sua carriera e la sua stessa incolumità. Pur sostenuto da un intuito
eccezionale, è costretto a combattere contro troppi nemici, tutti troppo
potenti: pericolosi assassini, la Santa Inquisizione, la peste, i cui artigli
ghermiscono proprio chi Niccolò ha di più caro.
Per il più abile Notaio Criminale di Milano la sfida è
aperta e la posta in gioco è alta: la propria carriera e la propria incolumità.
Oltre all’amore per una fanciulla nei cui occhi ha l’impressione di annegare.
Un thriller straordinario, che non concede soste al lettore,
sostenuto da una rigorosa ricostruzione storica.
L'AUTORE:
Franco Forte nasce a Milano nel 1962. Giornalista,
traduttore, sceneggiatore, editor delle collane edicola Mondadori (Il Giallo Mondadori, Urania e Segretissimo), ha pubblicato i romanzi Roma in fiamme, I bastioni del coraggio, Carthago, La Compagnia della
Morte, Operazione Copernico, Il figlio del cielo, L’orda d’oro – da cui ha
tratto per Mediaset uno sceneggiato tv su Gengis Khan –, tutti editi da
Mondadori, e La stretta del Pitone e China killer (Mursia e Tropea). Per
Mediaset ha scritto la sceneggiatura di un film tv su Giulio Cesare e ha
collaborato alle serie “RIS – Delitti imperfetti” e “Distretto di polizia”.
Direttore delle riviste Romance Magazine
(www.romancemagazine.it) e Writers Magazine Italia
(www.writersmagazine.it), ha pubblicato con Delos Books Il prontuario dello scrittore, un manuale di scrittura creativa per
esordienti giunto alla settima edizione. Il suo sito è www.franco-forte.it.
E infine ecco un'intervista a Franco Forte:
Franco, una storia
che appare davvero molto interessante, e forse per te un ritorno al thriller
più canonico, per quanto all’interno dell’impianto del romanzo storico che ci
hai abituato a costruire così bene.
Sì, in effetti “Il segno dell’untore” è una sorta di
compendio di tutto ciò che ho imparato scrivendo prima thriller (come “China
Killer” e “La stretta del Pitone”) e poi romanzi storici (da “I Bastioni del
coraggio” a “Carthago” e “Roma in fiamme”). E mi pare di aver centrato il
bersaglio, perché questo personaggio che ho costruito, il notaio criminale
Niccolò taverna, è davvero affascinante e originale, te lo posso garantire.
Giusto, parlaci di
lui. Chi è esattamente Niccolò Taverna?
E’ l’equivalente del 1576 di un moderno commissario di
polizia. I notai criminali erano i magistrati che a quel tempo, a Milano,
indagavano sui casi di omicidio, sui casi criminali e sulle ruberie, e lo
facevano adottando tecniche investigative sorprendentemente moderne, per quanto
i loro strumenti più efficaci per trovare i colpevoli fossero l’intuito,
l’istinto e l’esperienza. Ma trutto ciò che i miei personaggi fanno, è
rigorosamente documentato, e quindi sorprenderà vedere quali tecniche
investigative possedevano.
Facci qualche
esempio.
Nel romanzo ce ne sono a bizzeffe e, come detto, non si
tratta di mie invenzioni, bensì del risultato di un lungo lavoro di ricerca e
documentazione che mi ha portato a scoprire come questi funzionari del
Tribunale di Giustizia di Milano fossero davvero all’avanguardia, per ciò che
atteneva le indagini di polizia. Per esempio, erano soliti portare con sé dei
bastoncini con la punta ricoperta di cera, con i quali frugavano fra gli
oggetti appartenuti alle vittime di un omicidio, o su ciò che trovavano sul
luogo di un delitto. Perché? La nostra mentalità moderna ci spingerebbe a
rispondere: per non inquinare le prove. Ma naturalmente, dato che non
esistevano analisi scientifiche, a quell’epoca, il motivo è ben altro. I notai
criminali usavano quei bastoncini per frugare con sicurezza (secondo le
credenze dell’epoca) fra gli ogetti rinvenuti sui luoghi degli omicidi senza
rischiare di toccare qualcosa che potesse essere stato infettato dalla peste,
che nel 1576 stava decimando la popolazione di Milano. Credevano che se
avessero toccato qualcosa imbevuto dell’umore della malattia, questo sarebbe
scivolato sulla cera dei loro bastoncini, e con una semplice scrollatina se ne
sarebbero liberati, senza rischiare contagi.
Questo mi fa capire
quanto sia accurata la ricostruzione che fai di quel periodo storico.
E’ proprio così: nulla è lasciato al caso, e Niccolò taverna
si muove, mentre sviluppa le sue indagini, in una Milano ricostruita
perfettamente nella sua coerenza storica, non solo ambientale, ma anche
riguardo la vita di tutti i giorni: cosa mangiavano, come si vestivano, quali
attività svolgevano le persone in quel preciso momento storico. A emergere,
dunque, non è soltanto la storia di un magistrato che indaga sull’uccisione di un
inquisitore (e sul furto di un oggetto sacro dal Duomo), ma anche la
rappresentazione di un periodo storico molto difficile e per certi versi
affascinante della Milano della seconda metà del 1500. La Milano sotto
dominazione spagnola che vedeva contrapporsi il potere della Corona di Spagna e
della Santa Inquisizione, a essa collegata, a quello del Soglio di Pietro, che
vedeva nella figura dell’arcivescovo Carlo Borromeo (che poi diventerà San
carlo) un baluardo di primo piano nel conflitto tra potere secolare e potere
temporale.
Ma quanto parte di
thriller e di romanzo “giallo” c’è, ne “Il segno dell’untore”, rispetto al
classico romanzo storico?
Non c’è una prevalenza dell’uno rispetto all’altro, bensì un
continuo amalgamarsi e intersecarsi delle due cose. La ricostruzione storica e
il respiro sociale e culturale dell’epoca sono da sfondo a una intricata
indagine che deve fare i conti con gli strumenti limitati dell’epoca e la
capacità del notaio criminale Niccolò taverna di risolvere i casi grazie alla sua
inteligenza e alla sua esperienza. Ma tutto si muove in armonia con il periodo
descritto, rispettando la coerenza che qualsiasi buon romanzo storico richiede,
pur offrendo al lettore l’impianto, le emozioni e il ritmo di un thriller
attuale e congegnato nei minimi particolari.
Mondadori sta facendo
una forte campagnia di marketing e di promozione nei confronti di questo
romanzo, che apre il 2012 per la collana Omnibus italiani. C’è una strategia
precisa, dietro a tutto questo?
Sì, l’editore vuole iniziare il nuovo anno dando un segnale
chiaro ai lettori di un grosso mutamento che ci sarà per i rilegati Mondadori.
Il mio romanzo è il primo di un nuovo corso studiato con intelligenza, che
vuole coniugare un prezzo più aggressivo e abbordabile dal pubblico rispetto al
passato (15 euro anziché i soliti 20 euro), senza però svalutare i titoli che
saranno presentati, puntando quindi alla massima qualità possibile dei testi da
pubblicare. Sono felice di essere un po’ l’apripista di questo nuovo corso, e mi
auguro che il mio notaio criminale riesca a farsi apprezzare dal pubblico per
continuare a proporre le sue indagini mozzafiato.
C’è qualche
collegamento fra questo romanzo e il tuo precedente, “I bastioni del coraggio”,
anch’esso ambientato nella Milano del 1500?
Tra le due vicende sono passati trent’anni, e qualche
personaggio lo si ritrova ancora ne “Il segno dell’untore”, per quanto non più
come protagonista. Per esempio Anita, che ne “I bastioni del coraggio” era una
delle eroine del libro, qui è la moglie di Niccolò Taverna, anche se la sua
parabola narratva risulta piuttosto breve. E lo stesso accade per altri
personaggi, come per esempio il perfido Inquisitore Generale Guaraldo Giussani,
di cui non ci eravamo sbarazzati ne “I bastioni del coraggio”. Un giorno o
l’altro scriverò un romanzo che farà da collegamento fra questi due titoli,
descrivendo che cosa è successo in quei trent’anni di distacco fra un libro e
l’altro.
letto e recensito da un pò..un libro avvincente..da consigliare
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