sabato 14 dicembre 2013

Il mondo ha bisogno di parole

Abbiamo bisogno di fermarci un attimo e riflettere, abbiamo bisogno di un segnale, anche soltanto un libro che possa aiutarci a trovare quel senso che da sempre cerchiamo, che possa aiutarci a sopravvivere a noi stessi, indicare la giusta via per una convivenza sociale e culturale idilliaca. Siamo così attaccati alla quotidianità da non essere in grado di gestire il cambiamento, l'eccezione. Oggi voglio presentarvi un piccolo estratto dal romanzo Premio Nobel "Cecità" di Josè Saramago che mostra come l'uomo possa perdere se stesso in una società basata su fragili fondamenta, come possa far prevalere l'animale che è in lui in circostanze diverse dal solito. Dove finisce la ragione? 
Aspetto con piacere le vostre opinioni e consigli su altre letture visionarie ma vere. 


"A metà pomeriggio entrarono altri tre ciechi, cacciati dall'altra ala. Una era l'impiegata dell'ambulatorio, che la moglie del medico riconobbe immediatamente, e gli altri, così aveva stabilito il destino, erano l'uomo con cui la ragazza dagli occhiali scuri si era incontrata nell'albergo e quel volgare poliziotto che l'aveva condotta a casa. Ebbero solo il tempo di raggiungere i letti e di sedervisi, a casaccio, l'impiegata dell'ambulatorio piangeva disperatamente, i due uomini tacevano, come se ancora non riuscissero a rendersi conto di cosa gli era capitato. Improvvisamente si udirono, provenienti dalla strada, grida confuse, ordini impartiti fra gli urli, un furioso schiamazzo. I ciechi della camerata voltarono tutti la faccia verso la porta, in attesa. Non potevano vedere, ma sapevano cosa sarebbe accaduto nei minuti seguenti. La moglie del medico, seduta sul letto accanto al marito, disse a bassa voce, Era inevitabile, l'inferno preannunciato sta iniziando. Lui le strinse la mano e mormorò, Non ti allontanare, da ora in poi non potrai fare niente. Le grida erano scemate, adesso si udivano rumori confusi nell'atrio, erano i ciechi, condotti in gregge, che si scontravano gli uni contro gli altri, si pigiavano nel vano delle porte, alcuni avevano perso l'orientamento e andarono a finire in altre camerate, ma per la maggior parte, inciampando, a grappoli o sparsi, agitando penosamente le mani come chi sta affogando, entrarono nella camerata come un turbine, quasi fossero sospinti da una rotatrice. Qualcuno cadde, fu calpestato. Imprigionati nella corsia stretta, i ciechi, a poco a poco, cominciarono a debordare negli spazi fra le brande, e lì, come un'imbarcazione che in mezzo a un temporale è riuscita finalmente a entrare in porto, prendevano possesso del loro personale ormeggio, che era il letto, e protestavano che non c'entrava più nessuno, che i ritardatari andassero a cercare altrove. Laggiù dal fondo, il medico urlò che c'erano altre camerate, ma quei pochi rimasti senza letto avevano paura di perdersi nel labirinto che
s'immaginavano, sale, corridoi, porte chiuse, scale che si sarebbero rivelate solo all'ultimo momento. Alla fine capirono che lì non potevano restare, e, riguadagnando penosamente la porta da cui erano entrati, si avventurarono nell'ignoto. Come alla ricerca di un ultimo e ancora sicuro rifugio, i ciechi del secondo gruppo, quello di cinque, erano riusciti a occupare le brande che, fra loro e quelli del primo gruppo, erano rimaste vuote. Solo il ferito restò isolato, senza protezione, nel letto quattordici, lato sinistro. Un quarto d'ora dopo, a parte un po' di pianti, un po' di lamentele, un po' di rumori discreti di riordino, la calma, non la tranquillità, tornò nella camerata. Tutte le brande adesso erano occupate. Il pomeriggio stava per concludersi, le lampadine smorte parvero acquistare forza. Allora si udì la voce secca dell'altoparlante. Come era stato annunciato il primo giorno, stava ripetendo le istruzioni sul funzionamento delle camerate e le norme cui gli internati avrebbero dovuto obbedire, Al Governo rincresce di essere stato costretto a esercitare energicamente quello che considera suo diritto e dovere, proteggere con tutti i mezzi la popolazione nella crisi che stiamo attraversando, eccetera, eccetera. Quando la voce tacque, si levò un coro indignato di proteste, Siamo rinchiusi, Moriremo tutti qui, Il diritto non esiste, Dove sono i medici che ci avevano promesso, ecco una novità, le autorità avevano promesso medici, assistenza, fors'anche una cura completa. Il medico non disse che, se avessero avuto bisogno di un medico, c'era lui. Non lo avrebbe detto mai più. A un medico non bastano le mani, un medico cura con farmaci, droghe, composti chimici, combinazioni di questo e di quello, e qui non ce n'è traccia, né c'è la speranza di ottenerne. Non aveva neanche gli occhi per notare un pallore, per osservare un rossore della circolazione periferica, tante volte, senza necessità di ulteriori e minuziosi esami,
quei segnali esteriori equivalevano a una storia clinica completa, o la colorazione delle mucose e dei pigmenti, con altissima probabilità di far centro, Stavolta non la scampi. Siccome le brande vicine erano tutte occupate,  la moglie non poteva più continuare a raccontargli ciò che succedeva, ma lui avvertiva l'ambiente
pesante, teso, ormai ai limiti di un conflitto, che si era creato dopo l'arrivo degli ultimi ciechi. Perfino l'atmosfera della camerata sembrava ispessita, percorsa da odori pesanti, lenti, con improvvise correnti nauseabonde, Come sarà fra una settimana, si domandò, ed ebbe paura di immaginare che di lì a una settimana potessero essere ancora rinchiusi in quel posto, Ammettendo che non ci siano difficoltà nel rifornimento di cibo, e non è sicuro che non ve ne siano, dubito, per esempio, che là fuori sappiano in ogni momento quanti siamo qui dentro, qui si tratta di come si risolveranno i problemi igienici, e non parlo di come ci laveremo, ciechi da pochi giorni e senza l'aiuto di nessuno, o se le docce funzioneranno e per quanto tempo, ma parlo del resto, dei resti, basta una latrina intasata, una soltanto, e questo posto si trasforma in una cloaca. Si strofinò il viso con le mani, sentì l'asperità della barba di tre giorni, Meglio così, spero non abbiano la cattiva idea di mandarci lamette o forbici. Aveva in valigia tutto quanto gli poteva servire per farsi la barba, ma era consapevole che farsela sarebbe stato un errore, E dove, dove, non qui nella camerata, in mezzo a tutta questa gente, certo, potrebbe rasarmi lei, ma gli altri non tarderebbero ad accorgersene e troverebbero strano che ci sia qualcuno capace di prestare queste cure, e là dentro, nelle docce, con quella confusione, mio Dio, quanto ci mancano gli occhi, vedere, vedere, sia pur appena delle vaghe ombre, stare davanti a uno specchio, guardare una macchia scura diffusa e poter dire, Quella è la mia faccia, ciò che ha luce non mi appartiene."

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